Anche i birrifici vanno in Erasmus

Ieri sera ho presenziato a "Fusti di frontiera", simpatica - perdonate l'aggettivo generico, ma mi sembra nondimeno il più calzante - manifestazione organizzata dal Birrificio Campestre. Quest'anno, con la seconda edizione, il sodalizio tra Campestre e Antica Contea si è allargato a Borderline; e forse il segreto del fatto che anche quest'anno sia stata una manifestazione riuscita - almeno a giudicare dal numero di persone presenti già a inizio serata - è il fatto che, come ha affermato Giulio (il birraio del Campestre, per chi non lo conoscesse) "Ci troviamo qui, portiamo i fusti, e ci divertiamo noi per primi". Il tutto naturalmente senza perdere d'occhio la bontà della materia prima, cosa su cui i tre birrifici in questione si sono a mio avviso sempre ben difesi: il Campestre portava Aurora, Rurale, Dove Canta la Rana e Scur di Lune; il Borderline Ultra Hoppy Golden Ale, American Session Brown Ale e Red Ale; e Antica Contea portava Contessina, Dama Bianca e Superbia.Era proprio quest'ultima - una best bitter - che mi mancava, e così ho provveduto. Trattasi di una di quelle bitter "intrinsicamente britanniche" che ai ragazzi di Antica Contea tanto piacciono: schiuma ben densa e persistente a grana sottile, luppolatura sobria in aroma - nella fattispecie il luppolo inglese Progress, simile all'East Kent Golding, dall'aroma molto delicato tra il floreale, l'erbaceo e finanche speziato - , e dal corpo che pur esile a garanzia di bevibilità lascia in bocca un intenso nocciolato, prima di un finale di un'amarezza sobria ma netta, secca e pulita. La classica bitter appunto, da bere in quantità - del resto ha poco più di quattro gradi alcolici - e a cui sicuramente verrebbe resa molta più giustizia spillata da cask o a pompa, per rendere meno accentuata la carbonatazione; ma anche alla spina non perde comunque la sua ragion d'essere, nonché il suo "marchio di fabbrica" di Antica Contea in quanto ad amore per le isole britanniche, semplicità e pulizia.E qui vengo al motivo del titolo, perché tra un sorso e l'altro mi sono fatta raccontare da Costantino (uno dei birrai di Antica Contea, per chi non lo conoscesse) il loro viaggio alla Driftwood Spars Brewery in Cornovaglia, per una cotta della loro Pat at a Tap insieme al birraio Pete. Un viaggio molto istruttivo, a sentire Costantino, "perché ci siamo resi conto di quanti problemi forse inutili ci poniamo noi qui in Italia nel fare la birra": dagli impianti ai metodi, lì è tutto molto più "spontaneo", forse in virtù di una lunga tradizione che ha portato a privilegiare la pratica sulla teoria. Gli amici della Driftwood hanno ora in programma di ricambiare la visita, per cui l'auspicio è quello che si crei un fruttuoso scambio tra Gorizia e la Cornovaglia. Un genere di "Erasmus" da incentivare a livello più ampio soprattutto se può aiutare ad affrontare una delle debolezze spesso citate dei nostri birrifici, ossia la scarsa competitività sul mercato internazionale: penso ad esempio ad accordi per la produzione e distribuzione in loco delle reciproche birre, oltre naturalmente a birre in collaborazione. Un reciproco arricchimento non solo economico ma anche culturale.

La lunga saga delle accise

Non sono passati due giorni dalla notizia della riduzione dell'accisa sulle birre, e già si sprecano i commenti tra l'ironico, il cinico e il deluso: ma come, da 3,04 a 3,02 euro per grado plato per ettolitro? In effetti, date le cifre in questione, pare un po' una presa in giro. Tanto che tra i birrai c'è chi si sbizzarrisce a quantificare il risparmio in poche centinaia di euro l'anno, concludendo con un "Che bello, me ne mancano solo 9.700 per arrivare a comprare il fermentatore nuovo". C'è poi chi, con meno ironia ma più realpolitik, punta il dito contro le pressioni esercitate dai grandi dell'industria contro l'applicazione dell'accisa differenziata; che ha fatto sì che si arrivasse ad una misura puramente simbolica, in un gattopardesco cambiare tutto per non cambiare nulla.Bisogna dire in effetti che le premesse da cui si era partiti più di un anno fa erano di ben altra taratura: la proposta di legge 3344 del 5 ottobre 2015, presentata su iniziativa di quasi una cinquantina di deputati (Pd in questo caso, ma è bene evitare polemiche politiche ricordando che interessamento in questo senso è arrivato anche da altri partiti, M5S in particolare) prevedeva infatti una riduzione del 50% dell'accisa per chi produce fino a 5000 hl l'anno (buona parte dei microbirrifici, insomma), del 40% fino a 10.000 (e già qui si contano sulle dita di una mano quelli che rimarrebbero fuori), del 30% fino a 20.000 ettolitri, e via così, fissando a 50.000 il limite massimo per beneficiare della riduzione dell'accisa. L'impatto della misura era stato valutato in un milione di euro annui, da coprirsi "mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2015-2017, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2015, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero" (e qui vado sulla fiducia in merito al fatto che avessero davvero capito come coprirlo, perché questa dicitura è piuttosto oscura per chiunque non conosca in funzionamento di questi fondi). Inoltre, cosa non secondaria, la proposta di legge prevedeva che la tassazione venisse determinata "dalla birra immessa al consumo esclusivamente sulla base dei dati giornalieri contenuti nel registro di magazzino, nel quale si assumono in carico il prodotto finito in fase di condizionamento, il prodotto andato perduto, nonché i quantitativi estratti giornalmente per l'immissione in consumo diretta ovvero tramite la vendita ad altre imprese": in altri termini, le tasse si sarebbero pagate non più sul mosto uscito dal contalitri e in anticipo, ma sulla birra effettivamente resa disponibile per il consumo una volta arrivata in magazzino. Tenuto conto dei problemi di cassa che l'attuale sistema può creare, un cambiamento di notevole importanza.Nel frattempo sono poi successe altre cose, su tutte l'approvazione della definizione legislativa di birra (e birrificio) artigianale; che non aveva però appunto toccato la questione accise, pur essendo stata presentata come primo passo per arrivare a questo traguardo. Un emendamento al bilancio era arrivato anche un paio di settimane fa, a firma di Giuditta Pini (Pd) insieme ad esponenti di Lega, Ap e Fi, che proponeva un'accisa di 2,86 euro per grado plato per ettolitro; e un'altro sempre degli stessi firmatari proponeva una riduzione del 30% per i microbirrifici. Si è poi arrivati alla fine a questa riduzione del tutto simbolica, che il sottosegretario Baretta ha però ricondotto alla volontà di "mandare un segnale al settore" e assicurando - come sempre si fa in questi casi, verrebbe da dire - la disponibilità a riconsiderare al più presto le esigenze dei produttori, "possibilmente già in seconda lettura al Senato".Ora, per carità: chiaro che anche poche centinaia di euro all'anno riasparmiati possono fare comodo, ma una giusta via di mezzo tra il "benaltrismo" (secondo il quale qualsiasi misura è inutile perché "ci vorrebbe ben altro") e l'accettare qualunque cosa si può pure trovare, se non altro per portare l'attenzione sulle questioni che davvero possono fare la differenza: nella fattispecie - come molti hanno notato - la possibilità di pagare le accise sulla birra immessa alla vendita e non sul mosto, le agevolazioni che consentano di assumere più facilmente dipendenti sia sotto il profilo burocratico che sotto quello fiscale, e semplificazioni tali da consentire di non perdere quantità ingenti di tempo e denaro tra scartoffie e uffici vari (c'è qualche birraio che mi ha riferito di autentiche vie crucis tra Agenzia delle Dogane, Camere di Commercio e affini).Senza dimenticare la questione della mancata accisa sul vino, che è bene venga posta non come mera ritorsione come richiesta di equità: basti dire che ad esempio la Francia, Paese vinicolo tanto e più di noi, applica - come verificabile sul sito delle dogane del governo francese - una tassazione di 3,77 euro per ettolitro al vino tranquillo e di 9,33 per quello frizzante. Se Oltralpe siano le famigerate "lobby del vino" ad essere meno potenti, o la volontà politica ad essere più forte, non so dirlo; fatto sta che ad una qualche forma di partecipazione al carico fiscale, pur minima, si è arrivati, anche in un Paese in cui il settore vinicolo è considerato cruciale. C'è da dire, per completezza d'informazione, che la Francia applica alla birra una tassazione di 7,41 euro per grado alcolico per ettolitro alle birre che superano i 2,8 gradi alcolici (sostanzialmente tutte insomma): ponendo pertanto il classico caso di una birra di 5 gradi otteniamo 37,05 euro a ettolitro, che potremmo mettere a confronto con un altrettanto classico (per quanto ottimistico) 12 plato che pagherebbe 36,24 euro. Cifre non direttamente confrontabili, ma stiamo in ogni caso parlando di una tassazione non significativamente diversa.Smontato quindi anche il mito del "pagare tutti per pagare di meno"? Semplicistico dirlo, perché è un ragionamento che dovrebbe essere fatto nel quadro della fisclità generale - dato che non sono solo vino e birra a contribuire alle casse dell'erario. Però tutta la vicenda pone alcune serie questioni di riflessione: dato che un anno (e più, dato che questione non era nuova) di discussione ha portato ad una misura che appare essere simbolica, che si vuol fare affinché non sia stato tempo perso? E la "potenza" della fantomatiche "lobby" (industria birraria o produttori vinicoli che siano) fino a che punto è lo specchietto per le allodole di una mancata volontà politica di intervenire, visto che altrove lo si è fatto?

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Sua maestà l’olfatto: percezione e relazione col mondo odoroso

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Nuove birre da Ducato + Oxbow, La Ribalta, Canediguerra, Hammer e altri

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Ottima Italia al Brussels Beer Challenge: 32 riconoscimenti tra cui 8 medaglie d’oro

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Società cerca soci per la creazione di un brewpub in provincia di Milano

La società La Medusa srl è proprietaria di 2.500mq di capannone sito in San Lorenzo di Parabiago (Milano) sulla s.s. del Sempione. L’ubicazione è particolarmente valida per poter realizzare un birrificio artigianale e cucina con degustazione di piatti tipici particolarmente legati al consumo di birra. Cerca socio/i disposti a finanziare e realizzare il completamento della ...

Un viaggio con birra craft tra Copenaghen e Goteborg

Recentemente ho approfittato di qualche giorno di ferie dal lavoro per visitare due paesi del Nord Europa: Danimarca e Svezia, con tappe le città di Copenaghen e Goteborg. Per il conoscitore medio di birra Copenaghen è sinonimo di Carlsberg: è qui, infatti, che ha sede e principale fabbrica il colosso mondiale del settore. E il marchio ...

Tra birra artigianale e Prosecco

Da ragazza - o donna, fate voi...tanto la mia età la sapete - cresciuta tra le colline del Prosecco, non ho potuto non seguire con interesse la polemica seguita all'ultima puntata di Report in merito all'utilizzo dei pesticidi nei vigneti. Intendiamoci: una storia che sento fin da quando ero bambina, che pone un problema reale, ma concordo con chi dice che il servizio non ha reso giustizia ai passi avanti che sono stati compiuti e agli sforzi di quei viticoltori che già da tempo si sono presi a cuore la questione - finendo per dare un quadro falsato della realtà.Detto ciò però, mi ha dato da pensare la risposta data da Desiderio Bortolin (nella foto) - titolare delle Cantine Angelo Bortolin - in una lettera aperta su Facebook indirizzata a Milena Gabanelli. Dopo aver ripercorso la storia dell'azienda, e rilevato alcune criticità nel servizio in merito al fatto di aver "messo nel mucchio" produttori di doc e docg - che devono sottostare ad un disciplinare più stretto e lavorare le vigne a mano data la conformazione delle colline - Bortolin scrive: "Il “fenomeno Prosecco” non appartiene a Valdobbiadene, ma è qualcosa che a noi coltivatori di Valdobbiadene fa rabbrividire, che noi stessi contrastiamo puntando sulla qualità dei nostri prodotti e non sul numero di bottiglie [...] E’ da tempo che sostengo la necessità per noi viticoltori di Valdobbiadene di sdoganarci dal nome “Prosecco” che è ormai sfruttato da tanti come opportunità di business internazionale, data la richiesta del mercato. E il mercato, soprattutto quello internazionale, non ha ancora capito la differenza né è in grado di apprezzare il valore della nostra viticoltura eroica, della nostra storia [...] E’ forse davvero arrivato il momento, come io affermo da tempo, di dire basta al nome “Prosecco” e di chiamare i nostri vini esclusivamente “Conegliano-Valdobbiadene”".E cosa c'entra con la birra, direte voi, a meno di non volerci fare una Iga col Prosecco (arrivate tardi, l'hanno già fatta)? Beh, diciamo che a molti il discorso non sarà suonato del tutto nuovo: un "fenomeno" (Prosecco o birra artigianale che sia) legato ad un "nome" (Prosecco o birra artigianale che sia, e ricordo che anche quest'ultima ha ottenuto, seppure sotto forma diversa, una qualche tutela normativa) che però finisce per essere "sfruttato da tanti come opportunità di business" e ritorcersi contro chi lavora bene, tanto da far invocare l'abbandono del nome stesso. Vi dice nulla tutta ciò? Anche senza scomodare Teo Musso, che già da qualche anno preferisce parlare di "birra viva", tanti dei birrai con cui mi sono confrontata hanno espresso serie perplessità in proposito - come avevo scritto anche in questo post. Due casi molto diversi, certo, ma accomunati dal fattore "effetto nome"."What's in a name?", "Che cosa c'è in un nome?", si chiedeva la shakespeariana Giulietta al balcone: tutto e nulla, sembrerebbe, se prima il nome pare essere il fautore di un successo e poi improvvisamente qualcosa da cui si può - e anzi è meglio - fare a meno "purché ci sia la qualità" - e si trovi il modo di far arrivare ugualmente il messaggio al consumatore, beninteso. Mi ha dato da pensare la necessità diffusa in sempre più settori, dopo anni da "sbornia da certificazioni" - ricordiamo che l'Italia è il Paese europeo con il maggior numero di prodotti agroalimentari certificati, oltre 800, dal dop, al doc, all'igp - di "ritornare alle origini" e non "aggrapparsi" ad un nome nel momento in cui questo ha perso il significato per il quale era stato inteso. Se sia per la birra che per il Prosecco ci avvieremo su questa strada, forse è presto per dirlo; ma, come mi è stato scritto in un commento privato ad un mio post, "Gli appassionati non si fanno fregare dalla dicitura "birra artigianale", che, diciamocelo francamente, non significa nulla. Non oggi". Forse continueremo a definire "artigianali" i birrifici che per dimensione e metodo di produzione rientrano in certi parametri; ma "birra artigianale", per quanto sia a rigor di logica la birra fatta da loro, non sarà più il vessillo da sbandierare.