Cremona, che bontà

L'altra manifestazione a cui ho partecipato recentemente è stato il BonTà di Cremona, fiera dedicata all'enogastronomia in senso lato, che dall'anno scorso prevede anche un'area specificatamente dedicata alle birre - Special Beer Expo. Anche in questo caso ho condotto degli eventi, e anche qui rivolti ad un pubblico generico: e di nuovo ho avuto il piacere di vedere come ad avvicinarsi fossero anche tanti curiosi, persone che non necessariamente avevano una formazione pregressa nel campo birrario, ma che si sono poi fermati interessati e mi hanno riferito di aver con sorpresa scoperto un mondo nuovo - giusto per tornare sull'ultima parte del mio precedente post sulla fiera di Pordenone.Il primo evento, in collaborazione con l'Associazione Le Donne della Birra - che colgo l'occasione per ringraziare - è stato dedicato al ruolo delle donne nel campo brassicolo, nella storia ed oggi; e si è concluso con l'assaggio di alcune birre "in rosa" scelte tra i birrifici espositori - in realtà non birre fatte da mastri birrai donna, ma alla cui creazione le donne avevano comunque contribuito. Tra queste la "Acqua Passata" di Retorto, una sorta di birra che birra non è (è stata definita "herbal beer", in assenza di uno stile di riferimento), nel senso che - mi ha spiegato Marcello, il birraio - ad una base di strong ale sui generis è stato aggiunto solo un etto di luppolo, ma ben 11 kg di erbe e spezie - su tutte l'assenzio, ma la lista è lunga. Ne risulta una bevanda ispirata al vermouth, non a caso elaborata insieme ad un mixologist; e il tocco femminile - nella fattispecie quello di Monica, sorella di Marcello - è entrato in gioco nell'elaborare, insieme al grafico, l'etichetta con figure tratte da un antico libro di animali fantastici e la bottiglia, simile a quella degli amari e dei liquori, con tappo in vetro. Profumatissima al naso, su toni balsamici, in bocca unisce la componente maltata con quella erbacea e speziata, per finire con una lunga persistenza sempre sul balsamico. Le note alcoliche riescono a "mimare" bene quelle date da un liquore, pur trattandosi di una birra di 13 gradi - e quindi più bassa in gradazione: la troverei quindi un ottimo fine pasto, per chiudere dopo il caffè - ancor più che come aperitivo, altro suggerimento dato per il servizio.Particolare interesse ha suscitato poi la degustazione "Ogni birra ha la sua pizza, ogni pizza ha la sua birra", che ho condotto insieme ad Antonio Pappalardo de La Cascina dei Sapori di Rezzato (Brescia) - che ringrazio per l'ottimo lavoro svolto. Va detto che Antonio non è, e mi perdoneranno tutti i pizzaioli in lettura per l'espressione infelice, "un pizzaiolo qualunque" (nonostante la giovane età): La Cascina dei Sapori vanta infatti una lunga serie di riconoscimenti - l'inserimento in diverse prestigiose classifiche delle migliori pizzerie in Italia, i due spicchi del Gambero Rosso, e collaborazioni con nomi del calibro di Gordon Ramsay, solo per citarne alcuni. Potremmo quindi definire le creazioni di Antonio un'ulteriore dimostrazione (se mai ce ne fosse stato bisogno) che, almeno nell'alta ristorazione (ma non solo), la distinzione tra pizzaiolo e chef è ormai da tempo caduta: lungi dal replicare semplicemente le farciture classiche, le pizze sono diventate dei veri e propri piatti in cui si esprime la creatività dell'autore così come si esprimerebbe in una qualsiasi altra ricetta, sia come ingredienti che come impiattamento. Per questo devo ammettere che alcune di queste creazioni hanno rappresentato per me una bella sfida nel trovare un abbinamento birrario adatto: su tutte quello per la pizza con seppie, caco, macadamia e liquirizia, che alla fine ho accostato alla robust porter del Birrificio Curtense. Profumi di tostato, caffè e cacao come d'ordinanza, corpo - appunto - robusto sugli stessi toni, che non indugia però sul cioccolato preferendovi le note torrefatte, prima di un finale sì amaro ma morbido, che riprende i toni di cioccolato: un accostamento appropriato non solo alla liquirizia e alle noci, ma anche alla dolcezza del caco - che ha accompagnato e contrastato al tempo stesso quella del cioccolato - e ai toni più neutri e pastosi della seppia, valorizzati dalla tostatura.Più classica la pizza con pomodoro San Marzano e burrata, che ho abbinato con la Marzen sempre del Curtense: classici toni di biscotto e caramello all'aroma, con un leggerissimo accenno di erbaceo dal luppolo, corpo pieno e rotondo ma scorrevole nonostante la maltatura importante, e chiusura di nuovo sull'amaro pulito, accompagnando e contrastando al tempo stesso la dolcezza grassa della burrata. Sempre del Curtense ho assaggiato - ma al di fuori della degustazione - la Km0, una lager sui generis prodotta con materie prime locali e in particolare con l'aggiunta di tarassaco: del tutto peculiare l'erbaceo all'aroma, quasi di fieno - ammetto di aver colto anche un leggero acidulo, poi però sparito -, prima di un corpo avvolgente sui toni del caramello che chiude di nuovo sull'erbaceo del tarassaco senza persistenze dolci. Da ultimo la pizza cipolla e taleggio abbinata alla Ipa de La Moncerà - una ipa "classica", peraltro non eccessiva come luppolatura sia in aroma che in amaro -, che con il taglio resinoso finale ben chiudeva con la bevuta una farcitura decisamente importante in quanto a sapidità.Nell'ultima degustazione ho invece coinvolto, oltre che Retorto con la sua Daughter of Autumn - di cui ho già parlato qui - altre due nuove conoscenze per me, il birrificio Kuhbacher con la sua Keller e la sua Weizen, e il birrificio Il Conte Gelo con la sua golden ale Gragnola. La prima è una Marzen fondamentalmente in stile, e decisamente beverina se la consideriamo in rapporto al corpo che è discretamente robusto: il cereale riempie la bocca, ma scorre via, prima di un finale di un amaro erbaceo lieve, pulito e poco persistente. La seconda, la Schloss Weizen, devo ammettere di averla trovata molto più in forma alla spina che in bottiglia e può essere definita un'interpretazione decisamente "verace" dello stile: schiuma pannosa d'ordinanza, aromi intensi ed avvolgenti di banana e chiodi di garofano, corpo pieno che fa sentire il frumento in tutta la sua forza e finale fresco. Sempre di Kuhbacher ho assaggiato anche la loro Red, pensata - mi ha spiegato Egon Beck Peccoz, l'amminisratore di Kuhbacher Italia - specificatamente per le esigenze del mercato italiano dove era stata registrata la richiesta di una birra che - e Beck Peccoz mi perdonerà la definizione - corrispondesse all'idea della generica "rossa doppio malto". In realtà, lungi dall'essere una birra "generica", si sente bene che il birraio non ha sacrificato l'impronta rigorosa degli stili tedeschi sull'altare dei gusti italiani, tanto che in una degustazione alla cieca non avrei probabilmente esitato troppo ad identificarla come una Bock a tutti gli effetti: aromi di caramello e quasi liquorosi di malto, corpo caldo, mieloso ed avvolgente, e chiusura che pur rimanendo dolce rende giustizia anche alla luppolatura lieve ma che fa il suo lavoro di non lasciare persistenze stucchevoli.Da ultimo la Gragnola, che con la sua luppolatura agrumata di Mandarina mi aveva ingannata nel credere che ci fossero anche luppoli americani: il birraio Davide si è infatti strettamente attenuto ai luppoli continentali e alla scuola inglese, per una birra sì profumata tra il fruttato e il floreale ma non sopra le righe, corpo scorrevole e fresco e finale di un amaro tra il fruttato e il resinoso. Ben costruita, da bere in quantità.Chiudo ringraziando di nuovo tutti i birrai e i membri dello staff dei birrifici, e la Fiera di Cremona; nonché tutti i partecipanti alle degustazioni, per le quali ho anche qui quest'anno riscontrato un interesse crescente: che credo dovrebbe stimolare gli operatori del settore sì a ripensare modalità di eventi che hanno fatto il loro tempo, ma anche a non trascurare questi segnali lanciati dal pubblico.

Cremona, che bontà

L'altra manifestazione a cui ho partecipato recentemente è stato il BonTà di Cremona, fiera dedicata all'enogastronomia in senso lato, che dall'anno scorso prevede anche un'area specificatamente dedicata alle birre - Special Beer Expo. Anche in questo caso ho condotto degli eventi, e anche qui rivolti ad un pubblico generico: e di nuovo ho avuto il piacere di vedere come ad avvicinarsi fossero anche tanti curiosi, persone che non necessariamente avevano una formazione pregressa nel campo birrario, ma che si sono poi fermati interessati e mi hanno riferito di aver con sorpresa scoperto un mondo nuovo - giusto per tornare sull'ultima parte del mio precedente post sulla fiera di Pordenone.Il primo evento, in collaborazione con l'Associazione Le Donne della Birra - che colgo l'occasione per ringraziare - è stato dedicato al ruolo delle donne nel campo brassicolo, nella storia ed oggi; e si è concluso con l'assaggio di alcune birre "in rosa" scelte tra i birrifici espositori - in realtà non birre fatte da mastri birrai donna, ma alla cui creazione le donne avevano comunque contribuito. Tra queste la "Acqua Passata" di Retorto, una sorta di birra che birra non è (è stata definita "herbal beer", in assenza di uno stile di riferimento), nel senso che - mi ha spiegato Marcello, il birraio - ad una base di strong ale sui generis è stato aggiunto solo un etto di luppolo, ma ben 11 kg di erbe e spezie - su tutte l'assenzio, ma la lista è lunga. Ne risulta una bevanda ispirata al vermouth, non a caso elaborata insieme ad un mixologist; e il tocco femminile - nella fattispecie quello di Monica, sorella di Marcello - è entrato in gioco nell'elaborare, insieme al grafico, l'etichetta con figure tratte da un antico libro di animali fantastici e la bottiglia, simile a quella degli amari e dei liquori, con tappo in vetro. Profumatissima al naso, su toni balsamici, in bocca unisce la componente maltata con quella erbacea e speziata, per finire con una lunga persistenza sempre sul balsamico. Le note alcoliche riescono a "mimare" bene quelle date da un liquore, pur trattandosi di una birra di 13 gradi - e quindi più bassa in gradazione: la troverei quindi un ottimo fine pasto, per chiudere dopo il caffè - ancor più che come aperitivo, altro suggerimento dato per il servizio.Particolare interesse ha suscitato poi la degustazione "Ogni birra ha la sua pizza, ogni pizza ha la sua birra", che ho condotto insieme ad Antonio Pappalardo de La Cascina dei Sapori di Rezzato (Brescia) - che ringrazio per l'ottimo lavoro svolto. Va detto che Antonio non è, e mi perdoneranno tutti i pizzaioli in lettura per l'espressione infelice, "un pizzaiolo qualunque" (nonostante la giovane età): La Cascina dei Sapori vanta infatti una lunga serie di riconoscimenti - l'inserimento in diverse prestigiose classifiche delle migliori pizzerie in Italia, i due spicchi del Gambero Rosso, e collaborazioni con nomi del calibro di Gordon Ramsay, solo per citarne alcuni. Potremmo quindi definire le creazioni di Antonio un'ulteriore dimostrazione (se mai ce ne fosse stato bisogno) che, almeno nell'alta ristorazione (ma non solo), la distinzione tra pizzaiolo e chef è ormai da tempo caduta: lungi dal replicare semplicemente le farciture classiche, le pizze sono diventate dei veri e propri piatti in cui si esprime la creatività dell'autore così come si esprimerebbe in una qualsiasi altra ricetta, sia come ingredienti che come impiattamento. Per questo devo ammettere che alcune di queste creazioni hanno rappresentato per me una bella sfida nel trovare un abbinamento birrario adatto: su tutte quello per la pizza con seppie, caco, macadamia e liquirizia, che alla fine ho accostato alla robust porter del Birrificio Curtense. Profumi di tostato, caffè e cacao come d'ordinanza, corpo - appunto - robusto sugli stessi toni, che non indugia però sul cioccolato preferendovi le note torrefatte, prima di un finale sì amaro ma morbido, che riprende i toni di cioccolato: un accostamento appropriato non solo alla liquirizia e alle noci, ma anche alla dolcezza del caco - che ha accompagnato e contrastato al tempo stesso quella del cioccolato - e ai toni più neutri e pastosi della seppia, valorizzati dalla tostatura.Più classica la pizza con pomodoro San Marzano e burrata, che ho abbinato con la Marzen sempre del Curtense: classici toni di biscotto e caramello all'aroma, con un leggerissimo accenno di erbaceo dal luppolo, corpo pieno e rotondo ma scorrevole nonostante la maltatura importante, e chiusura di nuovo sull'amaro pulito, accompagnando e contrastando al tempo stesso la dolcezza grassa della burrata. Sempre del Curtense ho assaggiato - ma al di fuori della degustazione - la Km0, una lager sui generis prodotta con materie prime locali e in particolare con l'aggiunta di tarassaco: del tutto peculiare l'erbaceo all'aroma, quasi di fieno - ammetto di aver colto anche un leggero acidulo, poi però sparito -, prima di un corpo avvolgente sui toni del caramello che chiude di nuovo sull'erbaceo del tarassaco senza persistenze dolci. Da ultimo la pizza cipolla e taleggio abbinata alla Ipa de La Moncerà - una ipa "classica", peraltro non eccessiva come luppolatura sia in aroma che in amaro -, che con il taglio resinoso finale ben chiudeva con la bevuta una farcitura decisamente importante in quanto a sapidità.Nell'ultima degustazione ho invece coinvolto, oltre che Retorto con la sua Daughter of Autumn - di cui ho già parlato qui - altre due nuove conoscenze per me, il birrificio Kuhbacher con la sua Keller e la sua Weizen, e il birrificio Il Conte Gelo con la sua golden ale Gragnola. La prima è una Marzen fondamentalmente in stile, e decisamente beverina se la consideriamo in rapporto al corpo che è discretamente robusto: il cereale riempie la bocca, ma scorre via, prima di un finale di un amaro erbaceo lieve, pulito e poco persistente. La seconda, la Schloss Weizen, devo ammettere di averla trovata molto più in forma alla spina che in bottiglia e può essere definita un'interpretazione decisamente "verace" dello stile: schiuma pannosa d'ordinanza, aromi intensi ed avvolgenti di banana e chiodi di garofano, corpo pieno che fa sentire il frumento in tutta la sua forza e finale fresco. Sempre di Kuhbacher ho assaggiato anche la loro Red, pensata - mi ha spiegato Egon Beck Peccoz, l'amminisratore di Kuhbacher Italia - specificatamente per le esigenze del mercato italiano dove era stata registrata la richiesta di una birra che - e Beck Peccoz mi perdonerà la definizione - corrispondesse all'idea della generica "rossa doppio malto". In realtà, lungi dall'essere una birra "generica", si sente bene che il birraio non ha sacrificato l'impronta rigorosa degli stili tedeschi sull'altare dei gusti italiani, tanto che in una degustazione alla cieca non avrei probabilmente esitato troppo ad identificarla come una Bock a tutti gli effetti: aromi di caramello e quasi liquorosi di malto, corpo caldo, mieloso ed avvolgente, e chiusura che pur rimanendo dolce rende giustizia anche alla luppolatura lieve ma che fa il suo lavoro di non lasciare persistenze stucchevoli.Da ultimo la Gragnola, che con la sua luppolatura agrumata di Mandarina mi aveva ingannata nel credere che ci fossero anche luppoli americani: il birraio Davide si è infatti strettamente attenuto ai luppoli continentali e alla scuola inglese, per una birra sì profumata tra il fruttato e il floreale ma non sopra le righe, corpo scorrevole e fresco e finale di un amaro tra il fruttato e il resinoso. Ben costruita, da bere in quantità.Chiudo ringraziando di nuovo tutti i birrai e i membri dello staff dei birrifici, e la Fiera di Cremona; nonché tutti i partecipanti alle degustazioni, per le quali ho anche qui quest'anno riscontrato un interesse crescente: che credo dovrebbe stimolare gli operatori del settore sì a ripensare modalità di eventi che hanno fatto il loro tempo, ma anche a non trascurare questi segnali lanciati dal pubblico.

Due weekend a Pordenone

Come chi mi segue già sa, negli ultimi due fine settimana ho presenziato alla fiera della birra artigianale di Pordenone - ora nota come Pordenone Beer Show. Alò di là delle degustazioni e dei beer tour che ho condotto, è stata naturalmente l'occasione per conoscere nuovi birrifici e nuove birre, e fare alcune considerazioni su come il mondo brassicolo-fieristico sta andando.Il primo fine settimana è stato per la maggior parte all'insegna del ritrovo dei vecchi amici, buona parte dei quali presentava nuove birre. Tra questi i Chianti Brew Fighters con la loro Ottava, una Kölsch che è appunto la loro ottava creazione. Aromi intensi di luppoli nobili, sullo sfondo del cereale; corpo snello di crosta di pane, prima di un finale che amalgama in maniera interessante la componente del malto con una chiusura in amaro secca e netta. L'ho quindi trovata essere un'interpretazione più "caratterizzata" delle Kölsch classiche, che comunque non stravolge lo stile e può incontrare i favori anche dei "puristi". Novità anche in casa Basei con La Sere, una amber ale. Se la temperatura troppo bassa non le aveva inizialmente reso giustizia, mettendo in evidenza un leggero aroma acido inappropriato, alla temperatura corretta rivela una luppolatura su toni terrosi e resinosi ben armonizzata con gli aromi di biscotto e caramello. I sapori di biscotto e pane tostato tornano anche in bocca, con una chiusura che comunque non indugia sul caramello ma "taglia" con un amaro secco e netto. Tra le nuove conoscenze è invece da registrare l'Officina della Birra, birrificio artigianale della "prima generazione" avendo aperto come brewpub a Bresso (Milano) nel 1999. Tra le tante produzioni - tutte incentrate sulla scuola tedesca - ho provato la Sandalmazi (battezzata dal nome dialettale della cittadina di Cogliate, dove ha attualmente sede la produzione), una strong lager sui generis che potremmo paragonare alle Bock con aggiunta di zenzero e miele di melata. Il primo si fa sentire soprattutto all'aroma, mentre il secondo avvolge il palato in una birra già di per sé calda e corposa; prima di un finale che rimane dolce, ma senza persistenze stucchevoli. Mi sono trovata a pensare che senz'altro potrebbe rientrare nella quantomai vasta categoria delle natalizie: che in effetti iniziavano già a comparire a Pordenone, come ho avuto modo di constatare anche nel secondo weekend.Sono infatti state due le natalizie che ho provato, molto diverse tra loro. La prima è quella di Manto Bianco - birrificio che ha peraltro ampliato notevolmente la sua offerta, arrivando a coprire un gran numero di stili di tutte le tradizioni - incentrata sul miele di castagno e sull'anice: entrambi ben percepibili all'aroma (per quanto io personalmente abbia colto di più il miele) il primo la fa da padrone anche nel corpo, mentre il secondo ritorna per un leggero balsamico finale accostato alla persistenza lievemente amara del castagno - che pur non arriva a sovrastare la dolcezza dell'insieme. La seconda è invece quella del Jeb, che pur non lesinando sulla robustezza maltata del corpo come si conviene alle birre natalizie, non concede troppo alla dolcezza nonostante lo zucchero bruno candito e lo zucchero di canna; anzi, gioca sull'accostamento tra la scorza di limone e bergamotto e la luppolatura resinosa discretamente percepibile per dare un taglio più secco rispetto alla maggior parte delle birre di questa categoria. La definirei quindi un'interpretazione originale di questo stile che stile non è, che può venire incontro anche ai gusti di chi non ama le dolcezze troppo spinte.Nuova conoscenza del weekend è invece stata A Mine of Beer, beerfirm di Bacu Abis (Cagliari) che si appoggia primariamente al birrificio Mediterraneo, e che dà alle sue birre i nomi dei pozzi minerari della zona. Per prima ho provato la Bakù, una blanche allo zenzero volutamente pensata - così si è ben capito dalla descrizione che me ne ha fatto il creatore della ricetta - come blanche sui generis: aroma nettamente agrumato dato l'utilizzo sia di arancia che di limone e di luppolo mandarina, corpo fresco e snello in cui il cereale non si rivela allo stesso modo che nella blanche canoniche - se non per un leggerissimo accenno di frumento-, e finale fresco sempre di agrume più lo speziato dello zenzero. Birra nel complesso gradevole e dissetante, e di cui si coglie la coerenza delle intenzioni nel costruire la ricetta; da consigliare però come alternativa originale a chi cerca una session beer all'americana piuttosto che una blanche. Ammetto di aver apprezzato di più la Pacific Ipa Roth, una girandola intensa ma ben equilibrata di aromi e sapori tra papaya, mango, ananas, pompelmo rosa e limone; e la porter all'avena Cast, dal corpo robusto ma vellutato come si conviene ad una oatmeal, e profumi e sapori tostati tra il caffè e il cioccolato che lasciano una persistenza amara netta ma delicata. Nel complesso definirei A Mine of Beer un beerfirm che non manca di entusiasmo né di fantasia ed inventiva per le ricette, con un augurio di poterli mettere a frutto al meglio man mano che l'esperienza porterà nuovi suggerimenti.Da ultimo qualche riga sulla Fiera in quanto tale. Sicuramente si tratta di un evento "generalista" per sua natura, che riunisce birrifici artigianali propriamente detti, beerfirm e distributori - soprattutto per quanto riguarda i birrifici esteri: di conseguenza generalista è anche il pubblico. Tuttavia ho registrato un crescente interesse appunto tra questo pubblico generalista a saperne di più: non solo sono stati più frequentati dello scorso anno gli eventi come le degustazioni guidate, le lezioni sugli stili e i beer tour, ma anche un incontro che sulla carta sembrava poter coinvolgere solo gli addetti del settore - la tavola rotonda su birra e ristorazione di domenica 4, organizzata in collaborazione con WeFood - ha alla fine attirato l'attenzione di una platea più vasta del preventivato non solo in loco, ma anche tramite la diretta Facebook. Se da un lato quindi le fiere che mirano semplicemente a mettere insieme un po' di stand che spillano birra hanno fatto il loro tempo, forse è giunto il momento di mettere da parte la spocchia che - e da addetta del settore faccio un mea culpa in questo senso - a volte c'è nei confronti di chi ordina la bionda o la doppio malto ed avere il "coraggio di osare": credere che anche il pubblico generalista, se adeguatamente incuriosito e stimolato, può essere interessato ad andare oltre, proponendo laboratori tagliati su questa misura senza temere di "abbassare il livello". E anche se sappiamo che probabilmente nessuna di queste persone assaggerà mai un lambic, e se ne assaggerà uno magari strabuzzerà gli occhi e storcerà la bocca, non importa, spieghiamogli cos'è. Di trenta persone a cui lo spiegheremo, magari due si interesseranno, lo proveranno, forse decideranno che non è di loro gusto - e del resto non esiste alcun obbligo a bere lambic -, ma avranno imparato qualcosa. E soprattutto saranno motivati a volerne sapere ancora, e a non accontentarsi più di una birra qualsiasi.

Due weekend a Pordenone

Come chi mi segue già sa, negli ultimi due fine settimana ho presenziato alla fiera della birra artigianale di Pordenone - ora nota come Pordenone Beer Show. Alò di là delle degustazioni e dei beer tour che ho condotto, è stata naturalmente l'occasione per conoscere nuovi birrifici e nuove birre, e fare alcune considerazioni su come il mondo brassicolo-fieristico sta andando.Il primo fine settimana è stato per la maggior parte all'insegna del ritrovo dei vecchi amici, buona parte dei quali presentava nuove birre. Tra questi i Chianti Brew Fighters con la loro Ottava, una Kölsch che è appunto la loro ottava creazione. Aromi intensi di luppoli nobili, sullo sfondo del cereale; corpo snello di crosta di pane, prima di un finale che amalgama in maniera interessante la componente del malto con una chiusura in amaro secca e netta. L'ho quindi trovata essere un'interpretazione più "caratterizzata" delle Kölsch classiche, che comunque non stravolge lo stile e può incontrare i favori anche dei "puristi". Novità anche in casa Basei con La Sere, una amber ale. Se la temperatura troppo bassa non le aveva inizialmente reso giustizia, mettendo in evidenza un leggero aroma acido inappropriato, alla temperatura corretta rivela una luppolatura su toni terrosi e resinosi ben armonizzata con gli aromi di biscotto e caramello. I sapori di biscotto e pane tostato tornano anche in bocca, con una chiusura che comunque non indugia sul caramello ma "taglia" con un amaro secco e netto. Tra le nuove conoscenze è invece da registrare l'Officina della Birra, birrificio artigianale della "prima generazione" avendo aperto come brewpub a Bresso (Milano) nel 1999. Tra le tante produzioni - tutte incentrate sulla scuola tedesca - ho provato la Sandalmazi (battezzata dal nome dialettale della cittadina di Cogliate, dove ha attualmente sede la produzione), una strong lager sui generis che potremmo paragonare alle Bock con aggiunta di zenzero e miele di melata. Il primo si fa sentire soprattutto all'aroma, mentre il secondo avvolge il palato in una birra già di per sé calda e corposa; prima di un finale che rimane dolce, ma senza persistenze stucchevoli. Mi sono trovata a pensare che senz'altro potrebbe rientrare nella quantomai vasta categoria delle natalizie: che in effetti iniziavano già a comparire a Pordenone, come ho avuto modo di constatare anche nel secondo weekend.Sono infatti state due le natalizie che ho provato, molto diverse tra loro. La prima è quella di Manto Bianco - birrificio che ha peraltro ampliato notevolmente la sua offerta, arrivando a coprire un gran numero di stili di tutte le tradizioni - incentrata sul miele di castagno e sull'anice: entrambi ben percepibili all'aroma (per quanto io personalmente abbia colto di più il miele) il primo la fa da padrone anche nel corpo, mentre il secondo ritorna per un leggero balsamico finale accostato alla persistenza lievemente amara del castagno - che pur non arriva a sovrastare la dolcezza dell'insieme. La seconda è invece quella del Jeb, che pur non lesinando sulla robustezza maltata del corpo come si conviene alle birre natalizie, non concede troppo alla dolcezza nonostante lo zucchero bruno candito e lo zucchero di canna; anzi, gioca sull'accostamento tra la scorza di limone e bergamotto e la luppolatura resinosa discretamente percepibile per dare un taglio più secco rispetto alla maggior parte delle birre di questa categoria. La definirei quindi un'interpretazione originale di questo stile che stile non è, che può venire incontro anche ai gusti di chi non ama le dolcezze troppo spinte.Nuova conoscenza del weekend è invece stata A Mine of Beer, beerfirm di Bacu Abis (Cagliari) che si appoggia primariamente al birrificio Mediterraneo, e che dà alle sue birre i nomi dei pozzi minerari della zona. Per prima ho provato la Bakù, una blanche allo zenzero volutamente pensata - così si è ben capito dalla descrizione che me ne ha fatto il creatore della ricetta - come blanche sui generis: aroma nettamente agrumato dato l'utilizzo sia di arancia che di limone e di luppolo mandarina, corpo fresco e snello in cui il cereale non si rivela allo stesso modo che nella blanche canoniche - se non per un leggerissimo accenno di frumento-, e finale fresco sempre di agrume più lo speziato dello zenzero. Birra nel complesso gradevole e dissetante, e di cui si coglie la coerenza delle intenzioni nel costruire la ricetta; da consigliare però come alternativa originale a chi cerca una session beer all'americana piuttosto che una blanche. Ammetto di aver apprezzato di più la Pacific Ipa Roth, una girandola intensa ma ben equilibrata di aromi e sapori tra papaya, mango, ananas, pompelmo rosa e limone; e la porter all'avena Cast, dal corpo robusto ma vellutato come si conviene ad una oatmeal, e profumi e sapori tostati tra il caffè e il cioccolato che lasciano una persistenza amara netta ma delicata. Nel complesso definirei A Mine of Beer un beerfirm che non manca di entusiasmo né di fantasia ed inventiva per le ricette, con un augurio di poterli mettere a frutto al meglio man mano che l'esperienza porterà nuovi suggerimenti.Da ultimo qualche riga sulla Fiera in quanto tale. Sicuramente si tratta di un evento "generalista" per sua natura, che riunisce birrifici artigianali propriamente detti, beerfirm e distributori - soprattutto per quanto riguarda i birrifici esteri: di conseguenza generalista è anche il pubblico. Tuttavia ho registrato un crescente interesse appunto tra questo pubblico generalista a saperne di più: non solo sono stati più frequentati dello scorso anno gli eventi come le degustazioni guidate, le lezioni sugli stili e i beer tour, ma anche un incontro che sulla carta sembrava poter coinvolgere solo gli addetti del settore - la tavola rotonda su birra e ristorazione di domenica 4, organizzata in collaborazione con WeFood - ha alla fine attirato l'attenzione di una platea più vasta del preventivato non solo in loco, ma anche tramite la diretta Facebook. Se da un lato quindi le fiere che mirano semplicemente a mettere insieme un po' di stand che spillano birra hanno fatto il loro tempo, forse è giunto il momento di mettere da parte la spocchia che - e da addetta del settore faccio un mea culpa in questo senso - a volte c'è nei confronti di chi ordina la bionda o la doppio malto ed avere il "coraggio di osare": credere che anche il pubblico generalista, se adeguatamente incuriosito e stimolato, può essere interessato ad andare oltre, proponendo laboratori tagliati su questa misura senza temere di "abbassare il livello". E anche se sappiamo che probabilmente nessuna di queste persone assaggerà mai un lambic, e se ne assaggerà uno magari strabuzzerà gli occhi e storcerà la bocca, non importa, spieghiamogli cos'è. Di trenta persone a cui lo spiegheremo, magari due si interesseranno, lo proveranno, forse decideranno che non è di loro gusto - e del resto non esiste alcun obbligo a bere lambic -, ma avranno imparato qualcosa. E soprattutto saranno motivati a volerne sapere ancora, e a non accontentarsi più di una birra qualsiasi.

Esiste una definizione di terroir nella birra?

Non capita di rado di ascoltare il termine “terroir” associato al mondo della birra. Ci sono birrifici che ostentano questa espressione come un loro vezzo, se non addirittura come l’architrave della propria filosofia produttiva, intendendo la predisposizione a produrre birre associate alla rispettiva zona di origine. Ci sono workshop a tema che indagano il terroir …

Aperte le iscrizioni a Birra dell’Anno 2019: tutte le novità del concorso di Unionbirrai

Lunedì scorso Unionbirrai ha ufficializzato l’apertura delle iscrizioni all’edizione 2019 di Birra dell’Anno. Si tratta del più importante concorso nazionale sulla birra artigianale, al quale possono partecipare tutti i produttori rientranti nella relativa definizione legislativa. Esiste dal 2005 ed è strutturato come molte iniziative analoghe: i birrifici sono chiamati a iscrivere le proprie birre assegnando …

Tre nuovi libri dedicati alla birra

Gli articoli di Cronache di Birra incentrati sulle novità editoriali di settore non sono molto frequenti: i libri dedicati alla nostra bevanda escono con il contagocce e spesso conviene rivolgersi alle pubblicazioni in lingua straniera. È perciò quasi confortante ritornare sull’argomento dopo “soli” sette mesi, presentando altre tre letture inedite che sono da poco disponibili …