Santa Lucia: weekend secondo, capitolo primo

E ieri sono tornata in pista per il secondo fine settimana della Fiera della Birra Artigianale di santa Lucia di Piave, dedicato ai birrifici triveneti. Ho iniziato da un birrificio a me ancora sconosciuto per quanto abbia aperto lo scorso anno, il Lzo-Lorenzetto di Conegliano. Agribirrificio per la precisione - per quanto il titolare, Jacopo, affermi di non voler calcare la mano su questa definizione - che produce da sé l'orzo che fa poi maltare in Germania e il coriandolo - il luppolo è nei progetti del prossimo futuro, per ora si appoggia  a Villa Chazil. Tra la red ale Baal, la bianca Candice, la golden ale Cima, la california (un)common Riot Ale e la golden ale con luppolo fresco Wet Hop ho provato quest'ultima: trattasi di una monoluppolo Cascade - costata ore di duro lavoro, ha riferito Jacopo, dato che il luppolo fresco deve essere lavorato entro poche ore - in cui l'agrumato tipico del cascade risulta ancora più fresco e quasi erbaceo, senza però lasciare persistenze vegetali ma chiudendo anzi in maniera pulita e di un amaro non aggressivo.E' stato poi un piacere ritrovare il Couture, di cui ho provato la Helles biologica e la Pils interamente prodotta con materie prime proprie. Un tedesco "purista" la troverebbe probabilmente un po' "sbilanciata" verso il luppolo (Perle per la precisione), con i suoi aromi floreali; rimane comunque una birra piacevole e discretamente aromatica per il genere, con un cirpo sì sile e scorrevole ma non evanescente, che chiude poi su un amaro delicato che richiama i toni dell'aroma. Sono poi passata alla Pils, con Saaz e Northern Brewer di loro produzione. Anche questa decisamente aromatica per lo stile, è l'ultima nata di casa Couture; a mio parere - condiviso peraltro anche dal birraio - c'è un attimo da aggiustare l'equilibrio tra la componente maltata e quella luppolata (del resto si sa che le pils sono terreno delicato), ma ho fiducia nell'operato di Andrea.Interessante è stata anche la sosta al Salgaro, beerfirm che si sta avviando ad avere un impianto proprio - e che ha pure rinnovato lo stand, con sgabelli e tavoli di legno, rendendolo decisamente accogliente. Salgaro ha portato in anteprima la nuova Brown Ale, la Siora Bruna: una birra che, pur scontando al momento il fatto di essere ancora giovane, esibisce una componente tra il tostato e il caramellato ben bilanciata - con il tostato che emerge man mano che si scalda - e chiude sull'amaro erbaceo del Fuggle.Anche Mr Sez ha portato una novità, una Vienna con mandarina bavaria in monoluppolo: come Vienna è piuttosto fuori stile, ma credo potrà fare la felicità degli amanti di certe apa, dalla luppolatura agrumata sì ma morbida e non eccessiva, e dal corpo dai sentori biscottati ma comunque snello. Novità anche in casa Sognandobirra, con la ale ambrata della nuova linea F999 - una linea "semplice", intesa come complementare a quella classica e più ricercata - dalla luppolatura estremamente lieve e dal corpo che nonostante la tostatura ben presente risulta snello e beverino.Simpatica conoscenza è stato poi il birrificio Plotegher, da Besenello (TN). Se passate di lì, fatevi raccontare la curiosa storia di come, seguendo le tracce dei cimbri che hanno popolato le valli trentine, la famiglia Plotegher sia arrivata fino in Danimarca; dove non solo ha imparato a fare la birra, ma si è anche imbattuta in un'antica ricetta che - almeno così si racconta - è stata tramandata attraverso le generazioni dai tempi appunto dei vichinghi. Ricetta che peraltro i Plotegher intendono riprodurre fedelmente, ricreando addirittura alcuni aspetti che in sé e per sé sarebbero oggi considerati difetti - grazie anche ad un impianto realizzato da loro. È così nata la Valkirija, definita come "viking keller"; a cui si sono aggiunte la Ol - "birra" in danese -, una lager chiara semplice e beverina; e la Corcolocia, una "Viking porter" che prende il nome da un gallinaceo che abita le valli trentine (il corcolocio) e che presenta la peculiarità dell'aggiunta di resina di larice da Guardia di Folgaria. Ieri ho scelto di provare quest'ultima: schiuma fine e persistentissima, aromi e sapori intensamente tostati e di cioccolato, che si uniscono al balsamico della resina man mano che la temperatura sale. Inutile dire che mi è rimasta la curiosità di assaggiare che cosa sia una "Viking Keller", provvederò a togliermi lo sfizio...

Birrai di tutte le regioni, unitevi

E' di un paio di giorni fa la notizia del deposito di una proposta di legge regionale in Fvg, a firma dei consiglieri Marsilio, Gerolin ed Edera, per la creazione di un marchio unico della birra artigianale Fvg e il sostegno finanziario per l'acquisto di attrezzatura. Una proposta a cui si lavorava da tempo e che fa il paio con altre iniziative analoghe, come quella in Veneto - di cui avevo scritto qui - e che ha fatto trarre un "finalmente" di soddisfazione a produttori ed appassionati.Secondo quanto scrive Il Piccolo, "La bozza di legge prevede allora la creazione di un marchio collettivo che identifichi chiaramente prodotti e produttori, accompagnato dall'istituzione di un apposito registro dei birrifici. La promozione del marchio sarà affidata all'Ersa, che già si occupa di spingere la produzione vitivinicola regionale. L'altro asse della legge è il supporto all'innovazione delle lavorazioni, con finanziamenti ad hoc per l'acquisto di macchinari e la formazione degli operatori. Come spiega Marsilio, «verranno usati i capitoli di spesa già previsti per il sostegno alle aziende artigiane, ma chi investe nella filiera della birra potrà contare su punteggi aggiuntivi nelle graduatorie. Vogliamo favorire la nascita e lo sviluppo di aziende in un segmento in grande crescita, che permetterà inoltre di avviare interessanti filiere produttive in campo agricolo»".I contenuti sono quindi leggermente diversi da quelli del Veneto, pur rimanendo lo scopo sostanzialmente il medesimo; ad attirare la mia attenzione è stata in particolare la parte riguardante il finanziamento per l'acquisto di macchinari e la formazione. Diciamocelo, la coperta è corta: infatti vengono usati capitoli di spesa già previsti per le aziende artigiane. Non essendo quindi stato stanziato un solo centesimo in più, gioco forza il legislatore si è trovato a fare una scelta, destinando questo denaro ai birrifici piuttosto che ad altre aziende. E fin qui, si dirà, buon per i birrifici - che magari si inimicheranno qualche altra azienda, ma questo è un altro discorso. Interessante sarà però vedere all'opera i criteri con cui questi punteggi aggiuntivi nelle graduatorie saranno assegnati. Se l'intento è quello di "favorire la nascita e lo sviluppo di aziende in un settore in grande crescita", è altretttanto vero che c'è chi accusa come questa crescita sia già eccessiva, con microbirrifici che spuntano ogni giorno come funghi e magari senza solide basi. Di qui l'importanza appunto dei criteri: se si vuole davvero favorire il settore, è evidentemente cruciale evitare finanziamenti a pioggia che rincorrano mille realtà diverse senza davvero sostenerne alcuna in maniera significativa. Come identificare dunque i "meritevoli" è una buona domanda: sulla base di un credibile e dettagliato progetto di investimento per la crescita dell'azienda? Su parametri indicativi della performance dell'azienda (trend del volume di produzione e delle vendite, riconoscimenti ricevuti, ecc)? Naturalmente qualsiasi parametro è discutibile, mi chiedo quali saranno poi alla prova dei fatti: ricordiamoci che stiamo parlando di un progetto di legge, per cui si vedrà soltanto dopo l'approvazione - data praticamente per certa dati i numeri in Consiglio dei gruppi che hanno espresso il loro sostegno - e in sede di applicazione dove si andrà effettivamente a parare.Per intanto si tratta comunque di un gol messo a segno per i friulani, e che conferma come il Nordest sia tra le zone d'Italia più attive su questo fronte.

Birrai di tutte le regioni, unitevi

E' di un paio di giorni fa la notizia del deposito di una proposta di legge regionale in Fvg, a firma dei consiglieri Marsilio, Gerolin ed Edera, per la creazione di un marchio unico della birra artigianale Fvg e il sostegno finanziario per l'acquisto di attrezzatura. Una proposta a cui si lavorava da tempo e che fa il paio con altre iniziative analoghe, come quella in Veneto - di cui avevo scritto qui - e che ha fatto trarre un "finalmente" di soddisfazione a produttori ed appassionati.Secondo quanto scrive Il Piccolo, "La bozza di legge prevede allora la creazione di un marchio collettivo che identifichi chiaramente prodotti e produttori, accompagnato dall'istituzione di un apposito registro dei birrifici. La promozione del marchio sarà affidata all'Ersa, che già si occupa di spingere la produzione vitivinicola regionale. L'altro asse della legge è il supporto all'innovazione delle lavorazioni, con finanziamenti ad hoc per l'acquisto di macchinari e la formazione degli operatori. Come spiega Marsilio, «verranno usati i capitoli di spesa già previsti per il sostegno alle aziende artigiane, ma chi investe nella filiera della birra potrà contare su punteggi aggiuntivi nelle graduatorie. Vogliamo favorire la nascita e lo sviluppo di aziende in un segmento in grande crescita, che permetterà inoltre di avviare interessanti filiere produttive in campo agricolo»".I contenuti sono quindi leggermente diversi da quelli del Veneto, pur rimanendo lo scopo sostanzialmente il medesimo; ad attirare la mia attenzione è stata in particolare la parte riguardante il finanziamento per l'acquisto di macchinari e la formazione. Diciamocelo, la coperta è corta: infatti vengono usati capitoli di spesa già previsti per le aziende artigiane. Non essendo quindi stato stanziato un solo centesimo in più, gioco forza il legislatore si è trovato a fare una scelta, destinando questo denaro ai birrifici piuttosto che ad altre aziende. E fin qui, si dirà, buon per i birrifici - che magari si inimicheranno qualche altra azienda, ma questo è un altro discorso. Interessante sarà però vedere all'opera i criteri con cui questi punteggi aggiuntivi nelle graduatorie saranno assegnati. Se l'intento è quello di "favorire la nascita e lo sviluppo di aziende in un settore in grande crescita", è altretttanto vero che c'è chi accusa come questa crescita sia già eccessiva, con microbirrifici che spuntano ogni giorno come funghi e magari senza solide basi. Di qui l'importanza appunto dei criteri: se si vuole davvero favorire il settore, è evidentemente cruciale evitare finanziamenti a pioggia che rincorrano mille realtà diverse senza davvero sostenerne alcuna in maniera significativa. Come identificare dunque i "meritevoli" è una buona domanda: sulla base di un credibile e dettagliato progetto di investimento per la crescita dell'azienda? Su parametri indicativi della performance dell'azienda (trend del volume di produzione e delle vendite, riconoscimenti ricevuti, ecc)? Naturalmente qualsiasi parametro è discutibile, mi chiedo quali saranno poi alla prova dei fatti: ricordiamoci che stiamo parlando di un progetto di legge, per cui si vedrà soltanto dopo l'approvazione - data praticamente per certa dati i numeri in Consiglio dei gruppi che hanno espresso il loro sostegno - e in sede di applicazione dove si andrà effettivamente a parare.Per intanto si tratta comunque di un gol messo a segno per i friulani, e che conferma come il Nordest sia tra le zone d'Italia più attive su questo fronte.

Santa Lucia, weekend primo e capitolo secondo

Ed eccomi, alla fine dell'intenso weekend, a proseguire la panoramica su alcune delle novità provate. Come già anticipato con un paio di foto, allo stand del Legnone ho provato - in bicchiere di vetro, nota di favore all'inappuntabilità del servizio - l'ultima nata, la tripel al cardamomo Divano Belga. Nel complesso mi ha dato l'impressione di una tripel in stile: la speziatura al cardamomo, molto leggera, si amalgama infatti con quella che è la "speziatura" naturale del lievito, aprendo ad un corpo ben pieno e caramellato come da manuale. Il tocco di originalità arriva piuttosto alla fine, quando il cardamomo torna a smorzare i sentori alcolici e zuccherini, contribuendo a un finale più "pulito" di quanto ci si aspetterebbe da una birra del genere. Sempre al Legnone mi è stata consigliata come "particolarmente in forma" la apa Franklin: luppolatura fruttata delicata, corpo molto scorrevole e finale notevolmente secco, a beneficio di bevibilità.Altra piacevole sosta è stata quella dalla Brasseria della Fonte, accolta sempre con calore da Samuele e Letizia, dove ho assaggiato la porter. Samuele ha riferito di tostare da sé il malto: dai luppoli freschi per la Freshoops a questi malti, insomma, una conferma del fatto che al ragazzo piace mettere mano da sé anche alle materie prime. La tostatura si fa in effetti notare per essere piuttosto "verace", senza tuttavia pregiudicare la morbidezza dell'insieme anche grazie all'aggiunta di avena; e altra nota di particolarità è data dal Columbus in monoluppolo, che - già intuibile all'aroma, per quanto sovrastato dalla tostatura - sul finale dà una chiusura resinosa del tutto peculiare in una porter. Una reinterpretazione personale che, pur in quanto tale disconstandosi dallo stile, ha comunque il merito di non stravolgerlo e id arrivare ad un risultato finale armonioso. Nota curiosa sulla Brasseria della Fonte è che nel sito sono pubblicate tutte le ricette: qualcuno osserverà che Teo Musso con la sua serie Open è arrivato prima, fatto sta che ad oggi è - tra i birrifici di mia conoscenza, perlomeno - l'unico che pubblica tutte le ricette. Altra tappa è stata quella da L'Inconsueto, che ha portato la nuova ale chiara alla canapa. I sentori erbacei della foglia sono infatti particolarmnete intensi sia all'aroma che in bocca, pur senza risultare eccessivi, anche grazie al finale secco e pulito. Altra novità di casa Inconsueto è la birra allo zafferano afghano, considerato tra i più pregiati al mondo - che personalmente avrei però gradito meno intensa come aromatizzazione.Naturalmente il mio "giro" a Santa Lucia è stato molto più lungo, e ringrazio tutti gli altri birrifici presenti; il prossimo fine settimana sarà la volta dei birrifici triveneti, rimanete sintonizzati!

Santa Lucia, weekend primo e capitolo secondo

Ed eccomi, alla fine dell'intenso weekend, a proseguire la panoramica su alcune delle novità provate. Come già anticipato con un paio di foto, allo stand del Legnone ho provato - in bicchiere di vetro, nota di favore all'inappuntabilità del servizio - l'ultima nata, la tripel al cardamomo Divano Belga. Nel complesso mi ha dato l'impressione di una tripel in stile: la speziatura al cardamomo, molto leggera, si amalgama infatti con quella che è la "speziatura" naturale del lievito, aprendo ad un corpo ben pieno e caramellato come da manuale. Il tocco di originalità arriva piuttosto alla fine, quando il cardamomo torna a smorzare i sentori alcolici e zuccherini, contribuendo a un finale più "pulito" di quanto ci si aspetterebbe da una birra del genere. Sempre al Legnone mi è stata consigliata come "particolarmente in forma" la apa Franklin: luppolatura fruttata delicata, corpo molto scorrevole e finale notevolmente secco, a beneficio di bevibilità.Altra piacevole sosta è stata quella dalla Brasseria della Fonte, accolta sempre con calore da Samuele e Letizia, dove ho assaggiato la porter. Samuele ha riferito di tostare da sé il malto: dai luppoli freschi per la Freshoops a questi malti, insomma, una conferma del fatto che al ragazzo piace mettere mano da sé anche alle materie prime. La tostatura si fa in effetti notare per essere piuttosto "verace", senza tuttavia pregiudicare la morbidezza dell'insieme anche grazie all'aggiunta di avena; e altra nota di particolarità è data dal Columbus in monoluppolo, che - già intuibile all'aroma, per quanto sovrastato dalla tostatura - sul finale dà una chiusura resinosa del tutto peculiare in una porter. Una reinterpretazione personale che, pur in quanto tale disconstandosi dallo stile, ha comunque il merito di non stravolgerlo e id arrivare ad un risultato finale armonioso. Nota curiosa sulla Brasseria della Fonte è che nel sito sono pubblicate tutte le ricette: qualcuno osserverà che Teo Musso con la sua serie Open è arrivato prima, fatto sta che ad oggi è - tra i birrifici di mia conoscenza, perlomeno - l'unico che pubblica tutte le ricette. Altra tappa è stata quella da L'Inconsueto, che ha portato la nuova ale chiara alla canapa. I sentori erbacei della foglia sono infatti particolarmnete intensi sia all'aroma che in bocca, pur senza risultare eccessivi, anche grazie al finale secco e pulito. Altra novità di casa Inconsueto è la birra allo zafferano afghano, considerato tra i più pregiati al mondo - che personalmente avrei però gradito meno intensa come aromatizzazione.Naturalmente il mio "giro" a Santa Lucia è stato molto più lungo, e ringrazio tutti gli altri birrifici presenti; il prossimo fine settimana sarà la volta dei birrifici triveneti, rimanete sintonizzati!

Santa Lucia, le prime impressioni

E' iniziata ieri sera la Fiera della Birra Artigianale di Santa Lucia di Piave, alla quale ho presenziato come di consueto. Il primo weekend è dedicato ai birrifici italiani, tra i quali ho trovato sia vecchie che nuove conoscenze; nonché nuove birre tra le vecchie conoscenze, e mi si perdoni il gioco di parole.Mi limito qui ad una veloce impressione in merito ad alcune delle nuove birre provate. Innanzitutto la Wasabi, la nuova bitter del Diciottozerouno: aroma tra il terroso e il tostato di puro stampo inglese, inizialmente appare piuttosto annacquata - sì, lo so, "watery" è più figo, però questo vuol dire -, ma svela poi un ben riuscito connubio tra le note caramellate e l'amaro erbaceo in un finale notevolmente secco (quattro gradi alcolici e quattro gradi plato finali). Una birra che riesce bene nel suo intento dell'invitare a bere in quantità, come testimoniano anche le magliette dei ragazzi, che recitano "Stai prendendo troppe decisioni da sobrio. Possiamo aiutarti".In secondo luogo la nuova creatura di Chiara Baù del Jeb, la Zaffron, golden ale allo zafferano coltivato vicino al birrificio nell'ambito di un progetto più ampio di valorizzazione dei prodotti del territorio.Lo zafferano in sé si accompagna bene alla golden ale, la più "neutra" tra le birre del Jeb nonostante la leggera punta speziata del lievito; forse l'avrei apprezzato leggermente più delicato, dato che risalta molto bene sia all'aroma che nel corpo - Chiara ha comunque confermato che sta pensando anche ad una versione meno aromatizzata. Va detto che lo zafferano non è comunque eccessivo neanche nella versione attuale; interessante sarebbe l'abbinamento con cibi che "chiamano" lo zafferano, come risotti o formaggi freschi, così che sia la birra e non la spezia a dare l'aromatizzazione. Degna di nota comunque anche la Indedark, nuova formulazione della oatmeal stout.La Brasseria Alpina mi ha invece riservato la Sberla Nera (sorella maggiore della Berla Nera), una imperial stout "di quelle toste": nove gradi e una girandola di profumi e sapori tra il tostato, la liquirizia, il caffè, il cacao, e significative note balsamiche. Nota distintiva che ho trovato è il finale decisamente secco e amaro - 60 ibu -, che rende una birra dal corpo molto robusto e dalla gradazione alcolica alta decisamente beverina.Non potevo poi mancare la black ipa Buco Nero del Calibro 22, fresca di primo premio nella sua categoria a Birra dell'Anno. In effetti è una birra che stupisce, a partire dalla generosa luppolatura agrumata; e il corpo, pur presentando i sapori tostati d'ordinanza, risulta comunque molto scorrevole nonostante gil oltre sei gradi alcolici. Finale secco e pulito, di un amaro resinoso persistente ma non invadente, che chiama il sorso successivo.Da ultimo, ma non per importanza, La Gilda dei Nani birrai. Già avevo avuto modo di provare la scottish ale Cordis e la blonde ale al peperoncino Shire, così questa volta mi sono diretta sulla saison Kinzy. Una birra che personalmente ho trovato un po' sui generis all'interno dello stile, data la maniera in cui risalta la componente tra il fruttato e l'agrumato - che si coglie essere anche da luppolo, non solo da lievito - e che predomina sulla componente speziata; che ritorna poi come d'ordinanza in bocca, soprattutto sul finale. Che dire, tra poche ore si ricomincia...per chi c'è vi aspetto!

Santa Lucia, le prime impressioni

E' iniziata ieri sera la Fiera della Birra Artigianale di Santa Lucia di Piave, alla quale ho presenziato come di consueto. Il primo weekend è dedicato ai birrifici italiani, tra i quali ho trovato sia vecchie che nuove conoscenze; nonché nuove birre tra le vecchie conoscenze, e mi si perdoni il gioco di parole.Mi limito qui ad una veloce impressione in merito ad alcune delle nuove birre provate. Innanzitutto la Wasabi, la nuova bitter del Diciottozerouno: aroma tra il terroso e il tostato di puro stampo inglese, inizialmente appare piuttosto annacquata - sì, lo so, "watery" è più figo, però questo vuol dire -, ma svela poi un ben riuscito connubio tra le note caramellate e l'amaro erbaceo in un finale notevolmente secco (quattro gradi alcolici e quattro gradi plato finali). Una birra che riesce bene nel suo intento dell'invitare a bere in quantità, come testimoniano anche le magliette dei ragazzi, che recitano "Stai prendendo troppe decisioni da sobrio. Possiamo aiutarti".In secondo luogo la nuova creatura di Chiara Baù del Jeb, la Zaffron, golden ale allo zafferano coltivato vicino al birrificio nell'ambito di un progetto più ampio di valorizzazione dei prodotti del territorio.Lo zafferano in sé si accompagna bene alla golden ale, la più "neutra" tra le birre del Jeb nonostante la leggera punta speziata del lievito; forse l'avrei apprezzato leggermente più delicato, dato che risalta molto bene sia all'aroma che nel corpo - Chiara ha comunque confermato che sta pensando anche ad una versione meno aromatizzata. Va detto che lo zafferano non è comunque eccessivo neanche nella versione attuale; interessante sarebbe l'abbinamento con cibi che "chiamano" lo zafferano, come risotti o formaggi freschi, così che sia la birra e non la spezia a dare l'aromatizzazione. Degna di nota comunque anche la Indedark, nuova formulazione della oatmeal stout.La Brasseria Alpina mi ha invece riservato la Sberla Nera (sorella maggiore della Berla Nera), una imperial stout "di quelle toste": nove gradi e una girandola di profumi e sapori tra il tostato, la liquirizia, il caffè, il cacao, e significative note balsamiche. Nota distintiva che ho trovato è il finale decisamente secco e amaro - 60 ibu -, che rende una birra dal corpo molto robusto e dalla gradazione alcolica alta decisamente beverina.Non potevo poi mancare la black ipa Buco Nero del Calibro 22, fresca di primo premio nella sua categoria a Birra dell'Anno. In effetti è una birra che stupisce, a partire dalla generosa luppolatura agrumata; e il corpo, pur presentando i sapori tostati d'ordinanza, risulta comunque molto scorrevole nonostante gil oltre sei gradi alcolici. Finale secco e pulito, di un amaro resinoso persistente ma non invadente, che chiama il sorso successivo.Da ultimo, ma non per importanza, La Gilda dei Nani birrai. Già avevo avuto modo di provare la scottish ale Cordis e la blonde ale al peperoncino Shire, così questa volta mi sono diretta sulla saison Kinzy. Una birra che personalmente ho trovato un po' sui generis all'interno dello stile, data la maniera in cui risalta la componente tra il fruttato e l'agrumato - che si coglie essere anche da luppolo, non solo da lievito - e che predomina sulla componente speziata; che ritorna poi come d'ordinanza in bocca, soprattutto sul finale. Che dire, tra poche ore si ricomincia...per chi c'è vi aspetto!

Birra nera e ostriche, le mie impressioni

Ho avuto il piacere di condurre venerdì scorso al Plus di Portogruaro la degustazione "Birra nera e ostriche", promossa dal Birrificio B2O - con la presenza del birraio Gianluca Feruglio -  e dallo spazio di coworking di cui sopra, con la partecipazione del Benaco 70 e Birra di Meni. Per il resoconto della degustazione rimando al post pubblicato sul sito del B2O; qui mi limito a qualche considerazione che la degustazione mi ha suscitato.Innanzitutto, ho trovato indovinata la scelta delle birre sotto il profilo "didattico": tre birre nere sì, ma diversissime l'una dall'altra - una schwarz "sui generis" la Pirinat di Meni, una stout la Renera di B2O, e una porter torbata la Smoked Porter di Benaco 70. Per chi quindi si fosse sempre e solo limitate alla classica stout di impronta Guinness, l'occasione era ottima per scoprire che varietà di stili e sottostili si celino sotto al comun denominatore del colore nero.In secondo luogo, le ho trovate essere tre birre che esprimono bene la "personalità", se così la possiamo definire, di ciascun birrificio e ciascun birraio. Ricca e robusta ma con una pulizia e "austerità" di fondo la Pirinat, a conferma del fatto che Meni gioca sì anche con sapori forti, ma rifuggendo "fronzoli" eccessivi; morbida e raffinata la Renera, con i toni di caffè, cacao e liquirizia che si armonizzano nel finale liquoroso e secco al tempo stesso - "emanazione" di un birraio che mi ha a volte dato l'idea di uno stilista che cerca di vestire le birre alla sua elegante maniera, spingendosi magari anche sulla linea del fuori stile (penso ad esempio alla Jam Session). Sperimentale infine, ma senza allontanarsi dallo stile di riferimento, la Smoked Porter: in coerenza con un birrificio che ha chiamato le sue birre con i nomi degli stili, pur senza esimersi dal darvi il proprio tocco.In quanto all'abbinamento, ammetto che quello tra Pirinat e ostrica gratinata - per quanto azzeccato nell'usare il pane come "trait d'union" tra l'ostrica e il tostato della birra - ha forse scontato un po' il sapore molto deciso della gratinatura; che è arrivato quasi a sovrastare quello di una birra pur robusta, e che venerdì ho trovato peraltro particolarmente "in forma". Classico il secondo tra ostrica al naturale e Renera, che ha esemplificato in una maniera "da manuale" il contrasto tra il sapore del mare e quello dei malti scuri; e "da manuale" anche l'ultimo, che ha accompagnato con i sapori torbati la nota affumicata della pancetta. Al di là di questo, c'è da dire che parliamo di tre birre che si prestano ad essere apprezzate appieno anche da sole: cosa che del resto c'è stata la possibilità di fare, non essendo la quantità di ostriche tale da "assorbire" l'intero bicchiere.Un complimento lo riservo poi al cuoco Paolo Gianola, che ha fatto un lavoro di fino tra ostriche, risotto al nero di seppia e focaccia, e a tutto lo staff del Plus.Per concludere, interessante come sempre lo scambio che si crea tra conduttore della degustazione, birraio e partecipanti in questi casi: un confronto che non si è limitato alle birre nere, ma a questioni molto più ampie che hanno toccato l'iintero settore della birra artigianale italiana. Una volta di più un'occasione per fare cultura, che sarà tanto più valida quanto più riusciremo a portare queste degustazioni al di fuori dei loro spazi usuali.Un ringraziamento a Vudù Films per le immagini.

Birra nera e ostriche, le mie impressioni

Ho avuto il piacere di condurre venerdì scorso al Plus di Portogruaro la degustazione "Birra nera e ostriche", promossa dal Birrificio B2O - con la presenza del birraio Gianluca Feruglio -  e dallo spazio di coworking di cui sopra, con la partecipazione del Benaco 70 e Birra di Meni. Per il resoconto della degustazione rimando al post pubblicato sul sito del B2O; qui mi limito a qualche considerazione che la degustazione mi ha suscitato.Innanzitutto, ho trovato indovinata la scelta delle birre sotto il profilo "didattico": tre birre nere sì, ma diversissime l'una dall'altra - una schwarz "sui generis" la Pirinat di Meni, una stout la Renera di B2O, e una porter torbata la Smoked Porter di Benaco 70. Per chi quindi si fosse sempre e solo limitate alla classica stout di impronta Guinness, l'occasione era ottima per scoprire che varietà di stili e sottostili si celino sotto al comun denominatore del colore nero.In secondo luogo, le ho trovate essere tre birre che esprimono bene la "personalità", se così la possiamo definire, di ciascun birrificio e ciascun birraio. Ricca e robusta ma con una pulizia e "austerità" di fondo la Pirinat, a conferma del fatto che Meni gioca sì anche con sapori forti, ma rifuggendo "fronzoli" eccessivi; morbida e raffinata la Renera, con i toni di caffè, cacao e liquirizia che si armonizzano nel finale liquoroso e secco al tempo stesso - "emanazione" di un birraio che mi ha a volte dato l'idea di uno stilista che cerca di vestire le birre alla sua elegante maniera, spingendosi magari anche sulla linea del fuori stile (penso ad esempio alla Jam Session). Sperimentale infine, ma senza allontanarsi dallo stile di riferimento, la Smoked Porter: in coerenza con un birrificio che ha chiamato le sue birre con i nomi degli stili, pur senza esimersi dal darvi il proprio tocco.In quanto all'abbinamento, ammetto che quello tra Pirinat e ostrica gratinata - per quanto azzeccato nell'usare il pane come "trait d'union" tra l'ostrica e il tostato della birra - ha forse scontato un po' il sapore molto deciso della gratinatura; che è arrivato quasi a sovrastare quello di una birra pur robusta, e che venerdì ho trovato peraltro particolarmente "in forma". Classico il secondo tra ostrica al naturale e Renera, che ha esemplificato in una maniera "da manuale" il contrasto tra il sapore del mare e quello dei malti scuri; e "da manuale" anche l'ultimo, che ha accompagnato con i sapori torbati la nota affumicata della pancetta. Al di là di questo, c'è da dire che parliamo di tre birre che si prestano ad essere apprezzate appieno anche da sole: cosa che del resto c'è stata la possibilità di fare, non essendo la quantità di ostriche tale da "assorbire" l'intero bicchiere.Un complimento lo riservo poi al cuoco Paolo Gianola, che ha fatto un lavoro di fino tra ostriche, risotto al nero di seppia e focaccia, e a tutto lo staff del Plus.Per concludere, interessante come sempre lo scambio che si crea tra conduttore della degustazione, birraio e partecipanti in questi casi: un confronto che non si è limitato alle birre nere, ma a questioni molto più ampie che hanno toccato l'iintero settore della birra artigianale italiana. Una volta di più un'occasione per fare cultura, che sarà tanto più valida quanto più riusciremo a portare queste degustazioni al di fuori dei loro spazi usuali.Un ringraziamento a Vudù Films per le immagini.

Birra al calzino e pensieri in libertà

Veramente non era mia intenzione scrivere qualcosa sull'articolo di Valerio Visintin apparso il 17 novembre su Vivimilano del Corriere della Sera, con il provocatorio titolo de "L'era della birra al calzino"; non ritenevo infatti di dare seguito a quella che definirei appunto semplicemente una provocazione, basata peraltro su cliché riguardanti la birra artigianale non certo nuovi, e a cui già è stata ampiamente data risposta. Ma dato che continuo a ricevere provocazioni e richieste di opinioni in merito, eccomi a cedere alla vanesia dei fuffblogger - come nell'articolo vengono definiti - e a dare libero sfogo alla mia arte di scribacchina.Do innanzitutto atto ad Eugenio Signoroni di aver dato forma in questo suo pezzo a buona parte dei pensieri che mi erano nati leggendo l'articolo: in particolare per quanto riguarda affermazioni del tipo "Purtroppo esiste un numero ancora troppo alto di persone che producono (e vendono) birra solo perché qualche amico un paio di volte gli ha detto che le prove casalinghe fatte nel garage e portate alla grigliata erano buonissime. O peggio ancora che produce solo perché crede nel sillogismo per cui visto che tutti parlano di birra artigianale allora con questa si fa una valanga di soldi" - o che sia una valida alternativa alla disoccupazione che purtroppo colpisce molti giovani, mi verrebbe da aggiungere: lode allo spirito imprenditoriale, senza dubbio, però senza le competenze necessarie non si va lontano. Lo stesso dicasi per la critica al paragone tra birra e vino in quanto al legame con il territorio - questione nota, ma evidentemente non chiara a tutti. Così come per quanto riguarda il concetto che "la birra artigianale, purtroppo, da più parti viene interpretata come l’eccezione e in quanto tale deve essere strana, eccentrica, con qualcosa di diverso dallo standard" - ma meno che in passato, mi verrebbe da dire, dato che tra i birrai vedo la volontà di tornare a produzioni più semplici e pulite. A tal proposito mi è stata in qualche modo rivelatrice la visita alla Doemens Akademie di Grafelfing, una delle maggiori istutuzioni per quanto riguarda la formazione di mastri birrai. L'impressione che ne ho avuto è che in Germania fare la birra sia considerata una scienza e un mestiere, e per farla si studi e si studi tanto: chimica, fisica, biologia, legislazione relativa al settore birrario, e molto altro. In Italia, per contro - complice anche la limitatezza dell'offerta formativa in questo senso -, la scuola dei birrai è prevalentemente l'homebrewing - utilissimo, certo, ma l'equazione tra bravo homebrewer e bravo birraio non è automatica. Mi capita di sentire a volte qualche birraio italiano dire "Questa birra non mi è venuta come volevo, ma non so perché": ho pensato che un birraio tedesco non avrebbe magari saputo concepire quella ricetta lì - e in questo senso sono pienamente d'accordo con Alfonso Del Forno nel paragonare un bravo birraio ad un bravo chef -, però più facilmente avrebbe saputo dire perché, scientificamente parlando, la birra non è uscita come previsto. Questo per dire: la creatività i nostri birrai ce l'hanno, non posso che invitarli ad usarla bene, prendendo coscienza del fatto che formarsi anche sotto il profilo teorico è condizione necessaria per far fruttare al meglio l'esperienza pratica. Una consapevolezza che del resto si sta diffondendo, tanto che diversi birrai seguono corsi di formazione sia in Italia che all'estero; ma sono forse ancora pochi rispetto al totale.Sottoscrivo anche la necessità di formarsi e di formare da parte dei ristoratori: purtroppo mi è capitato di sentire in certi ristoranti palesi inesattezze nel presentare le birre in listino, e la cosa non ha potuto che contrariarmi. Alcuni birrifici organizzano dei veri e propri momenti di formazione per i loro clienti e distributori, e sono convinta che sia la strada giusta; senza tralasciare le scuole alberghiere - anche questa una carenza nota da tempo, e che ci si sta muovendo per colmare. Il giorno in cui la maggior parte dei ristoratori sarà in grado di scegliere con cognizione di causa che birre tenere e presentarle nella maniera giusta avremo risolto molti dei problemi sollevati da Visintin. Nonché arginato il problema di chi, sia tra birrai che tra publican, lavorando male danneggia l'immagine di tutto il settore - chi di voi non ha un amico che ha una cattiva opinione della birra artigianale perché ne ha provata solo una, ed era per giunta fatta o servita male?Devo però dar ragione a Visintin su un punto, quando parla di "estremizzazione culturale maturata nel mondo introverso dei birricoli": io stessa ho a volte la sensazione, quando parlo con appassionati di birra artigianale, di confrontarmi con una piccola cerchia di iniziati; in cui i pochi eletti avvezzi a gusti nobili snobbano chi quei nobili gusti non ce li ha e stroncano senza mezze misure quei birrai che a loro insindacabile giudizio non sfornano prodotti all'altezza dei loro palati. Ok, ho volutamente estremizzato, ma il senso della mia estremizzazione è "calmiamoci un po' tutti quanti": nessuno ha la verità in tasca, e - al di là del far notare eventuali difetti nella birra che stiamo bevendo, se abbiamo le conoscenze necessarie a farlo - dare della capra a chi non apprezza l'ultima barricata uscita dal blasonato birrificio XY mi pare francamente un po' eccessivo. Più volte nelle degustazioni che ho condotto ho sentito ad esempio persone chiedermi che cosa penso di una tal birra, affermando che non è di loro gusto, ma di sentirsi quasi "moralmente costretti" a berla da veri o presunti intenditori: un caso estremo per dire che la "fanatizzazione" del settore birrario è controproducente, allontanando anche chi magari sarebbe interessato a saperne di più. Se c'è chi ha gusti diversi dai nostri, ed è nella natura delle cose, spieghiamo il nostro punto di vista ma facciamocene una ragione senza giudicare. Né arrocchiamoci nel sillogismo secondo cui la birra artigianale è sempre buona e quella industriale sempre cattiva: sono due prodotti diversi, e sia nell'uno che nel'altro caso esistono esempi virtuosi e non, l'importante è saperli riconoscere. Se nascono articoli di questo tono - e non mi riferisco solo a questo perché non è il primo -, magari pure infarciti di inesattezze o affermazioni tendenziose, trovo che gli appassionati di birra artigianale debbano chiedersi se non sia stato il loro stesso comportamento a fornire parte del materiale per questi pezzi.Un ultimo punto su cui mi sento chiamata in causa, poi, è quello dei "Fuffblogger". Da giornalista sono la prima a dire che purtroppo nel marasma del web c'è tanta gente - anche giornalisti professionisti miei colleghi - che scrive con scarsa cognizione di causa, senza la formazione adeguata per farlo, sia in termini di ortografia e sintassi che di contenuti. E questi danneggiano il settore intero tanto quanto il birraio che fa birra scadente o il publican che la serve male. Sono arrivata al punto di dovermi spesso "difendere" dall'etichetta di blogger, nella misura in cui il blogger è nella visione comune colui che chiede bottiglie gratis in assaggio e poi spara a zero senza sapere quel che dice, osannato o silurato da lettori che non sanno quel che leggono. Ho sempre difeso e sempre difenderò la professionalità che mi impone di (in)formarmi costantemente, di scrivere solo ed unicamente nel rispetto delle persone e del loro lavoro, di confrontarmi con il birraio sulle perplessità che nutro rispetto ad una sua birra prima di scriverne senza magari avere nemmeno le informazioni necessarie, nonché eventualmente di tacere. Essendo un blog niente più che un mezzo, il problema è come viene usato: e generalizzare considerando i blog e i blogger un male è sbagliato. Piuttosto, come lettori, premiate i blog e le testate validi: condividete i post, sosteneteli come potete (sì, anche economicamente, perché gli articoli che leggete online qualcuno li ha pur scritti: un abbonamento  a un giornale online non è una contraddizione in termini). E dico ai birrai: puntate all'informazione di qualità. Perché anche la buona comunicazione è un elemento fondamentale per andare oltre i luoghi comuni che la reazione all'articolo di Visintin ha messo all'indice.