La birra contadina

A voler essere precisi, accanto a questa dicitura nel titolo avrei dovuto aggiungere il simbolo del marchio registrato: perché tale è la denominazione "birra contadina", registrata dal birrificio Cascina Motta di Sale (Alessandria). Si tratta dell'unico microbirrificio italiano ad oggi a gestire totalmente in proprio l'intero processo produttivo (produzione e maltazione dei cereali, produzione e essicazione del luppolo, e produzione della birra vera e propria); fondato dall'enologo Massimo Prandi, a cui si sono uniti il socio imprenditore Marco Malaspina e il mastro birraio Alessandro Beltrame. Ho avuto occasione di assaggiare tre delle quattro birre attualmente in produzione: la pilsner Sloira, la vienna Cavagna e la saison Sanpa.Una premessa va fatta: ossia che, come intuibile, una birra prodotta a questo modo ha una variabilità che è espressione diretta di quella delle materie prime (non a caso nelle bottiglie viene indicato l'anno del raccolto). E non solo della materia prima in sé e per sé, ma anche del fatto che, giocoforza, il malto e il luppolo essiccato sono molto meno "standardizzabili" rispetto a quelli dell'industria, che cerca viceversa di andare a compensare la naturale variabilità del raccolto. Pertanto ne ho avuto, in generale, l'impressione di birre "rustiche", in cui sia la componente di cereale che quella del luppolo appare più "verace" che in altre produzioni, e con leggere differenze anche da bottiglia a bottiglia dello stesso lotto (del resto si dice sempre che la birra artigianale è "viva").Che sia il cereale una delle note distintive delle birre di Cascina Motta lo si capisce forse meglio di tutto nella Sloira, quella più semplice e pulita: agli aromi prevalentemente erbacei (meno floreali rispetto alle Pils) segue infatti un corpo di cereale peculiarmente pieno, quasi ad avere in bocca un pezzo di pane fresco; prima di chiudere su un amaro tagliente e senza sconti, per quanto non troppo persistente.Caratteristiche di fondo che si ritrovano comunque anche nella Cavagna: dopo gli aromi di caramello e biscotto tipici dello stile, arriva anche qui l'abboccato di cereale dai toni decisamente più robusti delle altre Vienna (a me ha quasi ricordato quello di certe Scottish Ale) pur nella snellezza complessiva; prima di un taglio amaro finale analogo a quello della Sloira (vengono non a caso utilizzati gli stessi luppoli, ossia Hallertau Hersbrucker, Magnum e Chinook).Da ultimo la Sanpa, in cui colpisce già alla vista il notevole cono di schiuma. A fare da padrona all'olfatto è principalmente la tipica componente di esteri da lievito, sui toni speziati - anche questi più "grezzi", a mio avviso, che in altre saison, pur mantenendosi nel complesso gradevoli ed equilibrati; di nuovo un corpo pieno di cereale che dà in bocca sensazioni analoghe a quelle della Sloira, pur con sapori più variegati essendoci in questo caso anche segale e frumento. Anche qui il distintivo taglio amaro finale, che forse troverei inappropriato per una saison, ma sicuramente "marchio di fabbrica" per Cascina Motta.Nel complesso, birre interessanti per chi non è alla ricerca della perfezione tecnica da manuale (pur rimanendo nell'ambito dell'assenza di difetti, intendiamoci, però come accennavo prima non rispecchiano totalmente i canoni a cui siamo abituati) ma di sapori che, al di là dei gusti personali, hanno innegabilmente una loro unicità.

La birra contadina

A voler essere precisi, accanto a questa dicitura nel titolo avrei dovuto aggiungere il simbolo del marchio registrato: perché tale è la denominazione "birra contadina", registrata dal birrificio Cascina Motta di Sale (Alessandria). Si tratta dell'unico microbirrificio italiano ad oggi a gestire totalmente in proprio l'intero processo produttivo (produzione e maltazione dei cereali, produzione e essicazione del luppolo, e produzione della birra vera e propria); fondato dall'enologo Massimo Prandi, a cui si sono uniti il socio imprenditore Marco Malaspina e il mastro birraio Alessandro Beltrame. Ho avuto occasione di assaggiare tre delle quattro birre attualmente in produzione: la pilsner Sloira, la vienna Cavagna e la saison Sanpa.Una premessa va fatta: ossia che, come intuibile, una birra prodotta a questo modo ha una variabilità che è espressione diretta di quella delle materie prime (non a caso nelle bottiglie viene indicato l'anno del raccolto). E non solo della materia prima in sé e per sé, ma anche del fatto che, giocoforza, il malto e il luppolo essiccato sono molto meno "standardizzabili" rispetto a quelli dell'industria, che cerca viceversa di andare a compensare la naturale variabilità del raccolto. Pertanto ne ho avuto, in generale, l'impressione di birre "rustiche", in cui sia la componente di cereale che quella del luppolo appare più "verace" che in altre produzioni, e con leggere differenze anche da bottiglia a bottiglia dello stesso lotto (del resto si dice sempre che la birra artigianale è "viva").Che sia il cereale una delle note distintive delle birre di Cascina Motta lo si capisce forse meglio di tutto nella Sloira, quella più semplice e pulita: agli aromi prevalentemente erbacei (meno floreali rispetto alle Pils) segue infatti un corpo di cereale peculiarmente pieno, quasi ad avere in bocca un pezzo di pane fresco; prima di chiudere su un amaro tagliente e senza sconti, per quanto non troppo persistente.Caratteristiche di fondo che si ritrovano comunque anche nella Cavagna: dopo gli aromi di caramello e biscotto tipici dello stile, arriva anche qui l'abboccato di cereale dai toni decisamente più robusti delle altre Vienna (a me ha quasi ricordato quello di certe Scottish Ale) pur nella snellezza complessiva; prima di un taglio amaro finale analogo a quello della Sloira (vengono non a caso utilizzati gli stessi luppoli, ossia Hallertau Hersbrucker, Magnum e Chinook).Da ultimo la Sanpa, in cui colpisce già alla vista il notevole cono di schiuma. A fare da padrona all'olfatto è principalmente la tipica componente di esteri da lievito, sui toni speziati - anche questi più "grezzi", a mio avviso, che in altre saison, pur mantenendosi nel complesso gradevoli ed equilibrati; di nuovo un corpo pieno di cereale che dà in bocca sensazioni analoghe a quelle della Sloira, pur con sapori più variegati essendoci in questo caso anche segale e frumento. Anche qui il distintivo taglio amaro finale, che forse troverei inappropriato per una saison, ma sicuramente "marchio di fabbrica" per Cascina Motta.Nel complesso, birre interessanti per chi non è alla ricerca della perfezione tecnica da manuale (pur rimanendo nell'ambito dell'assenza di difetti, intendiamoci, però come accennavo prima non rispecchiano totalmente i canoni a cui siamo abituati) ma di sapori che, al di là dei gusti personali, hanno innegabilmente una loro unicità.

Birra artigianale e pensieri in quarantena

Sicuramente vi sarà capitato in questi giorni di leggere diverse analisi su come la quarantena per il coronavirus stia impattando sul settore della borra artigianale - segnalo in particolare quella di Lelio Bottero e quella di Andrea Turco. Pur condividendo buona parte di quanto affermano, azzardo qualche considerazione in più anch'io.La prima riguarda l'impennata nel numero di birrifici artigianali che si è organizzata per fare consegna a domicilio, cosa prima assai meno frequente. I risultati sono stati diversificati, ma c'è stato chi mi ha riferito di essere riuscito a compensare così fino al 50% delle mancate vendite - magra consolazione, certo, ma abbastanza da garantire la sopravvivenza. È verosimile, quindi, che anche dopo la fine della quarantena - sia quando sia -, sarà significativamente più diffuso di prima il fatto di farsi portare a casa le bottiglie. E qui si gioca, a mio avviso, un'importante partita per i birrai: se questi consumi in casa riusciranno, almeno in parte, a sommarsi e non a sostituirsi a quelli al pub e in tap room - con una motivazione al consumo quindi diversa da quella di uscire -, il coronavirus avrà lasciato un'eredità interessante. I birrifici potrebbero così contare da un lato sui consumi in tap room, che sono quelli a più alta marginalità, e dall'altro su consumi domestici che vanno al di là (e soprattutto sono più continuativi) del semplice portarsi a casa qualche bottiglia quando si va di persona in birrificio. Insomma, il famigerato aumento dei consumi che tanto cerchiamo in Italia, sfruttando il fatto che avere in casa in maniera regolare qualche bottiglia del proprio birrificio artigianale preferito sia diventata un'abitudine più di prima e per più persone.Non è poi peregrina l'osservazione di ReporterGourmet secondo cui, essendo verosimile che anche il telelavoro rimarrà più diffuso, ed essendoci una correlazione tra il lavorare da casa e farsi consegnare le cose a casa (qualunque merce sia), anche cibo e bevande beneficeranno di questa tendenza: del resto, chi di noi non approfitterebbe la prossima estate di mettersi al computer - magari controvoglia - con una birra in mano, cosa che non potrebbe mai fare sul posto di lavoro?Sarà poi interessante vedere se e come tutte le varie soluzioni messe in campo per consegnare a domicilio (chi lo fa direttamente, chi tramite piattaforme come per l'iniziativa lanciata dal birrificio War) consentiranno di aggirare l'annoso problema della presenza o meno dei birrifici artigianali nella gdo: ok, realisticamente parlando non lo aggireranno, però sicuramente si sarà creato il potenziale per una presenza più capillare che possa colmare almeno in parte il divario distributivo.Altra potenzialità che può essere interessante sfruttare è quella, su cui tanto ama insistere Teo Musso, del legame territoriale di tanti birrifici artigianali italiani - vedasi l'impennata degli agribirrifici. Anche quando si riapriranno gradualmente le porte delle attività commerciali, è ragionevole credere che la gente non tornerà subito in massa ad affollare i locali in preda all'entusiasmo, ma permarrà una certa diffidenza. Verosimilmente torneremo prima a dare sostegno a quelle attività legate al territorio prossimo, cosa su cui peraltro stanno facendo campagna pressante le associazioni di categoria dell'agroalimentare e dell'artigianato: e, sotto questo profilo, i birrifici che possono vantare una sorta di "identità territoriale" avranno una carta in più da giocare. Per contro, le numerose iniziative nate via web - degustazioni in diretta Facebook, viedoparty e affini -, se portate avanti, potrebbero avvicinare il pubblico a birrifici che stanno magari all'altro capo d'Italia, e che difficilmente si andrebbe a visitare di persona.Cruciale sarà in tutto questo vedere fino a che punto i numerosi appelli a bere birra artigianale italiana, comprare locale e affini, lanciato da Unionbirrai e da molti altri, si tradurrà in effettivi comportamenti di consumo sul lungo termine. Cosa al momento difficile a dirsi, essendo ancora arduo prevedere in che misura il potere e la propensione all'acquisto verranno influenzati dalle ripercussioni sul reddito che molti patiranno nei prossimi mesi.Da ultimo, voglio citare le numerose iniziative di solidarietà di cui diversi birrifici si sono resi protagonisti - birre create ad hoc per raccogliere fondi per ospedali o protezione civile, o incassi devoluti in parte a questo scopo: che, pur in un momento di sofferenza per il settore, sia stata fatta questa scelta, è un segnale molto importante, che conferma come nel settore della birra artigianale stiamo parlando di un modello di business che ancora pone la persona al centro.Naturalmente, con ciò non intendo  dire che vada tutto bene e che questa crisi sia soltanto un benefico stimolo a ripartire: molti birrifici sono fermi, chi produce lo fa a ritmo ridotto e con canali di vendita ristrettissimi essendo chiusi pub e tap room, il rinvio delle scadenze fiscali non è risolutivo, e il rischio che per alcuni esercizi la chiusura diventi definitiva è concreto. Però è un fatto che nei momenti di blocco forzato ci si ferma a pensare a soluzioni a cui mai si avrebbe pensato prima. Se queste saranno di utilità non solo nel limitare i danni, ma anche nel trovare un nuovo equilibrio dopo questo sconvolgimento - perché per forza di cose un equilibrio nuovo dovrà essere -, ben venga.

Birra artigianale e pensieri in quarantena

Sicuramente vi sarà capitato in questi giorni di leggere diverse analisi su come la quarantena per il coronavirus stia impattando sul settore della borra artigianale - segnalo in particolare quella di Lelio Bottero e quella di Andrea Turco. Pur condividendo buona parte di quanto affermano, azzardo qualche considerazione in più anch'io.La prima riguarda l'impennata nel numero di birrifici artigianali che si è organizzata per fare consegna a domicilio, cosa prima assai meno frequente. I risultati sono stati diversificati, ma c'è stato chi mi ha riferito di essere riuscito a compensare così fino al 50% delle mancate vendite - magra consolazione, certo, ma abbastanza da garantire la sopravvivenza. È verosimile, quindi, che anche dopo la fine della quarantena - sia quando sia -, sarà significativamente più diffuso di prima il fatto di farsi portare a casa le bottiglie. E qui si gioca, a mio avviso, un'importante partita per i birrai: se questi consumi in casa riusciranno, almeno in parte, a sommarsi e non a sostituirsi a quelli al pub e in tap room - con una motivazione al consumo quindi diversa da quella di uscire -, il coronavirus avrà lasciato un'eredità interessante. I birrifici potrebbero così contare da un lato sui consumi in tap room, che sono quelli a più alta marginalità, e dall'altro su consumi domestici che vanno al di là (e soprattutto sono più continuativi) del semplice portarsi a casa qualche bottiglia quando si va di persona in birrificio. Insomma, il famigerato aumento dei consumi che tanto cerchiamo in Italia, sfruttando il fatto che avere in casa in maniera regolare qualche bottiglia del proprio birrificio artigianale preferito sia diventata un'abitudine più di prima e per più persone.Non è poi peregrina l'osservazione di ReporterGourmet secondo cui, essendo verosimile che anche il telelavoro rimarrà più diffuso, ed essendoci una correlazione tra il lavorare da casa e farsi consegnare le cose a casa (qualunque merce sia), anche cibo e bevande beneficeranno di questa tendenza: del resto, chi di noi non approfitterebbe la prossima estate di mettersi al computer - magari controvoglia - con una birra in mano, cosa che non potrebbe mai fare sul posto di lavoro?Sarà poi interessante vedere se e come tutte le varie soluzioni messe in campo per consegnare a domicilio (chi lo fa direttamente, chi tramite piattaforme come per l'iniziativa lanciata dal birrificio War) consentiranno di aggirare l'annoso problema della presenza o meno dei birrifici artigianali nella gdo: ok, realisticamente parlando non lo aggireranno, però sicuramente si sarà creato il potenziale per una presenza più capillare che possa colmare almeno in parte il divario distributivo.Altra potenzialità che può essere interessante sfruttare è quella, su cui tanto ama insistere Teo Musso, del legame territoriale di tanti birrifici artigianali italiani - vedasi l'impennata degli agribirrifici. Anche quando si riapriranno gradualmente le porte delle attività commerciali, è ragionevole credere che la gente non tornerà subito in massa ad affollare i locali in preda all'entusiasmo, ma permarrà una certa diffidenza. Verosimilmente torneremo prima a dare sostegno a quelle attività legate al territorio prossimo, cosa su cui peraltro stanno facendo campagna pressante le associazioni di categoria dell'agroalimentare e dell'artigianato: e, sotto questo profilo, i birrifici che possono vantare una sorta di "identità territoriale" avranno una carta in più da giocare. Per contro, le numerose iniziative nate via web - degustazioni in diretta Facebook, viedoparty e affini -, se portate avanti, potrebbero avvicinare il pubblico a birrifici che stanno magari all'altro capo d'Italia, e che difficilmente si andrebbe a visitare di persona.Cruciale sarà in tutto questo vedere fino a che punto i numerosi appelli a bere birra artigianale italiana, comprare locale e affini, lanciato da Unionbirrai e da molti altri, si tradurrà in effettivi comportamenti di consumo sul lungo termine. Cosa al momento difficile a dirsi, essendo ancora arduo prevedere in che misura il potere e la propensione all'acquisto verranno influenzati dalle ripercussioni sul reddito che molti patiranno nei prossimi mesi.Da ultimo, voglio citare le numerose iniziative di solidarietà di cui diversi birrifici si sono resi protagonisti - birre create ad hoc per raccogliere fondi per ospedali o protezione civile, o incassi devoluti in parte a questo scopo: che, pur in un momento di sofferenza per il settore, sia stata fatta questa scelta, è un segnale molto importante, che conferma come nel settore della birra artigianale stiamo parlando di un modello di business che ancora pone la persona al centro.Naturalmente, con ciò non intendo  dire che vada tutto bene e che questa crisi sia soltanto un benefico stimolo a ripartire: molti birrifici sono fermi, chi produce lo fa a ritmo ridotto e con canali di vendita ristrettissimi essendo chiusi pub e tap room, il rinvio delle scadenze fiscali non è risolutivo, e il rischio che per alcuni esercizi la chiusura diventi definitiva è concreto. Però è un fatto che nei momenti di blocco forzato ci si ferma a pensare a soluzioni a cui mai si avrebbe pensato prima. Se queste saranno di utilità non solo nel limitare i danni, ma anche nel trovare un nuovo equilibrio dopo questo sconvolgimento - perché per forza di cose un equilibrio nuovo dovrà essere -, ben venga.

Al Cucinare e al Beer Attraction…meglio tardi che mai, parte seconda

Venendo al Beer Attraction, si impone in primo luogo una considerazione di base - che del resto non sono la prima né l'unica a fare. Per quanto sia il classico evento a cui "bisogna esserci", al di là della reale o presunta motivazione che ciascun espositore o visitatore possa avere,devo dire che quest'anno (nella mia pur breve visita) ho notato come, in generale, ci sia stata una "maturazione" dell'offerta: sì tante "chicche" fatte o presentate per l'occasione, ma senza cercare improbabili effetti speciali, e puntando piuttosto a dare il meglio di sé rimanendo nei ranghi. Un'evoluzione, si dirà, che è lo specchio di quella già avvenuta nei birrifici negli ultimi anni.Venendo alle birre che ho assaggiato, quella che propongo è naturalmente una selezione di quelle che ho trovato più interessanti. Inizio dalla Extra Ipa Brut Black Rye di Curtense: già dal nome sembrerebbe contraddire ciò che ho detto appena sopra, invece a dispetto di questo trova un equilibrio notevole - pur rimanendo sui toni forti - tra la luppolatura agrumata e resinosa e il cereale tostato, ulteriormente sostenuto dalla segale, tanto da dare l'impressione finale di una birra decisa ma non sopra le righe. Manco a dirlo, 7 gradi e non dargliene neanche la metà.Sempre all'insegna dell'equilibrio, ma questa volta tra acido e fruttato, la Pin Up di Cittavecchia: una fruit sour all'ananas, in cui l'acidità della birra e quella del frutto si amalgamano diventando un tutt'uno - decisamente gradevole anche per chi si approcciasse ad una sour per la prima volta. Anche nel caso della Good Morning Chianti, Berliner Weisse al caffè dei Chianti Brew Fighters, l'intento è quello di sposare la naturale acidità dell'aggiunta - il caffè - con quella della birra: forse in questo caso un po' più slegata rispetto all'esempio precedente, ma comunque l'intento nel complesso è riuscito con originalità.Tutt'altra storia la Ghiria, imperial stout del birrificio Sothis, che veniva proposta anche con lo Stacheln - il procedimento di origine tedesca (e generalmente praticato con le Bock) di caramellizzare gli zuccheri della birra immergendovi un ferro rovente. Curioso incrocio di tradizioni birrarie, dunque, e che applicato ad una imperial stout ha ulteriormente evidenziato - almeno a mio avviso - i toni di torrefatto. Sempre in tema di stout e affini, da segnalare la Trifoglio di Barbaforte, oatmeal stout, per l'occasione nella versione maturata in botti di rum.Ho poi avuto il piacere di fare finalmente la conoscenza di Siemàn, dopo averne tanto sentito parlare in virtù della reputazione che si sta guadagnandonell'ambiente birrario. Ho provato la Negà, definita "wild sour ale with grapes" (e non semplicemente Iga), in quanto dopo 12 mesi di fermentazione spontanea in botti di rovere viene aggiunta uva Garganega, e lasciata maturare per altri tre mesi. Per quanto la componente del vitigno sia, almeno per chi come me è particolarmente "sensibile", discretamente pungente, il risultato è comunque una birra nell'insieme elegante e calibrata, per quanto la descrizione farebbe presumere aromi e sapori ben più "selvaggi". Bravi anche i ragazzi di Siemàn nello spiegare le loro birre agli avventori allo stand, con semplicità e precisione.Naturalmente ringrazio anche tutti gli altri che non ho nominato e che mi hanno ospitata ai loro stand.

Al Cucinare e al Beer Attraction…meglio tardi che mai, parte seconda

Venendo al Beer Attraction, si impone in primo luogo una considerazione di base - che del resto non sono la prima né l'unica a fare. Per quanto sia il classico evento a cui "bisogna esserci", al di là della reale o presunta motivazione che ciascun espositore o visitatore possa avere,devo dire che quest'anno (nella mia pur breve visita) ho notato come, in generale, ci sia stata una "maturazione" dell'offerta: sì tante "chicche" fatte o presentate per l'occasione, ma senza cercare improbabili effetti speciali, e puntando piuttosto a dare il meglio di sé rimanendo nei ranghi. Un'evoluzione, si dirà, che è lo specchio di quella già avvenuta nei birrifici negli ultimi anni.Venendo alle birre che ho assaggiato, quella che propongo è naturalmente una selezione di quelle che ho trovato più interessanti. Inizio dalla Extra Ipa Brut Black Rye di Curtense: già dal nome sembrerebbe contraddire ciò che ho detto appena sopra, invece a dispetto di questo trova un equilibrio notevole - pur rimanendo sui toni forti - tra la luppolatura agrumata e resinosa e il cereale tostato, ulteriormente sostenuto dalla segale, tanto da dare l'impressione finale di una birra decisa ma non sopra le righe. Manco a dirlo, 7 gradi e non dargliene neanche la metà.Sempre all'insegna dell'equilibrio, ma questa volta tra acido e fruttato, la Pin Up di Cittavecchia: una fruit sour all'ananas, in cui l'acidità della birra e quella del frutto si amalgamano diventando un tutt'uno - decisamente gradevole anche per chi si approcciasse ad una sour per la prima volta. Anche nel caso della Good Morning Chianti, Berliner Weisse al caffè dei Chianti Brew Fighters, l'intento è quello di sposare la naturale acidità dell'aggiunta - il caffè - con quella della birra: forse in questo caso un po' più slegata rispetto all'esempio precedente, ma comunque l'intento nel complesso è riuscito con originalità.Tutt'altra storia la Ghiria, imperial stout del birrificio Sothis, che veniva proposta anche con lo Stacheln - il procedimento di origine tedesca (e generalmente praticato con le Bock) di caramellizzare gli zuccheri della birra immergendovi un ferro rovente. Curioso incrocio di tradizioni birrarie, dunque, e che applicato ad una imperial stout ha ulteriormente evidenziato - almeno a mio avviso - i toni di torrefatto. Sempre in tema di stout e affini, da segnalare la Trifoglio di Barbaforte, oatmeal stout, per l'occasione nella versione maturata in botti di rum.Ho poi avuto il piacere di fare finalmente la conoscenza di Siemàn, dopo averne tanto sentito parlare in virtù della reputazione che si sta guadagnandonell'ambiente birrario. Ho provato la Negà, definita "wild sour ale with grapes" (e non semplicemente Iga), in quanto dopo 12 mesi di fermentazione spontanea in botti di rovere viene aggiunta uva Garganega, e lasciata maturare per altri tre mesi. Per quanto la componente del vitigno sia, almeno per chi come me è particolarmente "sensibile", discretamente pungente, il risultato è comunque una birra nell'insieme elegante e calibrata, per quanto la descrizione farebbe presumere aromi e sapori ben più "selvaggi". Bravi anche i ragazzi di Siemàn nello spiegare le loro birre agli avventori allo stand, con semplicità e precisione.Naturalmente ringrazio anche tutti gli altri che non ho nominato e che mi hanno ospitata ai loro stand.

Al Cucinare e al Beer Attraction…meglio tardi che mai, parte prima

Con più o meno colpevole ritardo dovuto ad altri impegni di lavoro concomitanti, coronavirus, asili nido chiusi, eccetera eccetera, eccomi a scrivere qualcosa sulle nuove birre assaggiate al Cucinare di Pordenone - dove ho tenuto alcune degustazioni - e al Beer Attraction - nella toccata e fuga che sono riuscita a fare.Inizio appunto dal Cucinare, dove ho assaggiato le ultime creazioni di birrifici che già conoscevo. Per prima la HopAle, black Ipa di Meraki ben riuscita nella sua semplicità e pulizia, di cui ho apprezzato in particolare il giusto equilibrio tra il tostato e l'agrumato della luppolatura sia in aroma che in amaro; seguita dalla Pink Moon di Galassia, una american wheat con ibisco, in cui a mio avviso si fondono in maniera molto interessante all'aroma lo speziato del lievito e l'acidulo dell'ibisco e del luppolo lemondrop; per poi amalgamare il tutto al palato con il cereale fresco. Un esperimento forse audace, ma senz'altro da provare per gli amanti del genere. Così come interessante per gli amanti del genere è la Nova brettata, dopo oltre un anno in botte: alla base di summer ale è stato aggiunto appunto il brett, che con l'invecchiamento risulta discretamente morbido e adeguatamente sostenuto dall'acidità elegante di base.In quel di B2O ho invece assaggiato la nuova Vienna con mais rosso di San Martino e luppolo Lubelski: per quanto lo stile di base rimanga pienamente riconoscibile, costituisce comunque una sui generis all'interno della categoria, in quanto il mais conferisce sia all'aroma che al palato un particolare tocco "verace" di cereale. Interessante in particolare per gli abbinamenti a tavola: al Cucinare l'abbiamo accostata al risotto alla stout Renera e formaggio marinato sui lieviti preparato dallo chef di B2O Galdino Aggio, ma la vedrei molto bene anche con preparazioni in umido di pesce - penso alle seppie - o di carne - spezzatino e affini. Ancor di più mi ha colpita però la Honey Ale al miele di barena. Se pensate che tutte le honey ale siano dolci, ricredetevi: questa esibisce un potente balsamico al naso dato da questo particolare miele presidio Slow Food (tanto che non vengono utilizzati luppoli in aroma), e dopo aver concesso un breve passaggio ai toni biscottati del malto, vira di nuovo su un deciso taglio amaro sempre balsamico. Consigliata a chi cerca una birra al miele fuori dai canoni, e soprattutto provare un sapore diverso - non so voi, ma io il miele di barena manco sapevo cosa fosse.Un ultimo appunto lo devo al Birrificio Agro e alla sua Saison, di cui - in questo post scritto in occasione della Fiera della birra artigianale di Pordenone - avevo criticato "una speziatura un po' sopra le righe": l'invecchiamento ha giovato dato che, assaggiando una bottiglia dello stesso lotto, ho trovato un maggiore ed apprezzabile equilibrio. Considerazione simile per Birra Follina, con un plauso al nuovo team del birrificio per i miglioramenti apportati alla dubbel Giana, che ora presenta un profilo aromatico decisamente più pulito senza "sbavature fenoliche" sempre in agguato in questi stili.Per ora mi fermo qui, nella seconda puntata Beer Attraction...

Al Cucinare e al Beer Attraction…meglio tardi che mai, parte prima

Con più o meno colpevole ritardo dovuto ad altri impegni di lavoro concomitanti, coronavirus, asili nido chiusi, eccetera eccetera, eccomi a scrivere qualcosa sulle nuove birre assaggiate al Cucinare di Pordenone - dove ho tenuto alcune degustazioni - e al Beer Attraction - nella toccata e fuga che sono riuscita a fare.Inizio appunto dal Cucinare, dove ho assaggiato le ultime creazioni di birrifici che già conoscevo. Per prima la HopAle, black Ipa di Meraki ben riuscita nella sua semplicità e pulizia, di cui ho apprezzato in particolare il giusto equilibrio tra il tostato e l'agrumato della luppolatura sia in aroma che in amaro; seguita dalla Pink Moon di Galassia, una american wheat con ibisco, in cui a mio avviso si fondono in maniera molto interessante all'aroma lo speziato del lievito e l'acidulo dell'ibisco e del luppolo lemondrop; per poi amalgamare il tutto al palato con il cereale fresco. Un esperimento forse audace, ma senz'altro da provare per gli amanti del genere. Così come interessante per gli amanti del genere è la Nova brettata, dopo oltre un anno in botte: alla base di summer ale è stato aggiunto appunto il brett, che con l'invecchiamento risulta discretamente morbido e adeguatamente sostenuto dall'acidità elegante di base.In quel di B2O ho invece assaggiato la nuova Vienna con mais rosso di San Martino e luppolo Lubelski: per quanto lo stile di base rimanga pienamente riconoscibile, costituisce comunque una sui generis all'interno della categoria, in quanto il mais conferisce sia all'aroma che al palato un particolare tocco "verace" di cereale. Interessante in particolare per gli abbinamenti a tavola: al Cucinare l'abbiamo accostata al risotto alla stout Renera e formaggio marinato sui lieviti preparato dallo chef di B2O Galdino Aggio, ma la vedrei molto bene anche con preparazioni in umido di pesce - penso alle seppie - o di carne - spezzatino e affini. Ancor di più mi ha colpita però la Honey Ale al miele di barena. Se pensate che tutte le honey ale siano dolci, ricredetevi: questa esibisce un potente balsamico al naso dato da questo particolare miele presidio Slow Food (tanto che non vengono utilizzati luppoli in aroma), e dopo aver concesso un breve passaggio ai toni biscottati del malto, vira di nuovo su un deciso taglio amaro sempre balsamico. Consigliata a chi cerca una birra al miele fuori dai canoni, e soprattutto provare un sapore diverso - non so voi, ma io il miele di barena manco sapevo cosa fosse.Un ultimo appunto lo devo al Birrificio Agro e alla sua Saison, di cui - in questo post scritto in occasione della Fiera della birra artigianale di Pordenone - avevo criticato "una speziatura un po' sopra le righe": l'invecchiamento ha giovato dato che, assaggiando una bottiglia dello stesso lotto, ho trovato un maggiore ed apprezzabile equilibrio. Considerazione simile per Birra Follina, con un plauso al nuovo team del birrificio per i miglioramenti apportati alla dubbel Giana, che ora presenta un profilo aromatico decisamente più pulito senza "sbavature fenoliche" sempre in agguato in questi stili.Per ora mi fermo qui, nella seconda puntata Beer Attraction...

Riduzione d’accisa, i rovesci della medaglia

Sta tenendo banco in queste ore la comunicazione data dal Birrificio Italiano che, a seguito dell'interpretazione data dall'Agenzia delle Dogane di Como alla nuova normativa che consente ai microbirrifici una riduzione d'accisa del 40%, si è trovato a dover rivedere pesantemente il proprio assetto organizzativo e a rinunciare all'esportazione di Tipopils negli Usa. Scrive infatti il birrificio: "Le recenti norme emanate dallo Stato Italiano riguardanti la possibilità di avvalersi delle riduzioni d’accisa per i birrifici artigianali con produzione inferiore a 10.000 hl/anno lasciano a quanto pare un discreto margine d’interpretazione alle singole Agenzie delle Dogane.L’Agenzia di Como, sotto la cui competenza rientra il Birrificio Italiano, ha optato per una lettura della legge che ci obbliga a rivedere le modalità operative di molte delle nostre attività. Abbiamo provato ad insistere e spiegare, ma non è bastato.Gli effetti sono i seguenti:1) Blocco del programma di tank conditioning consolidato da molti anni con il nostro importatore americano BUnited, grazie al quale la Tipopils veniva spedita ancora in maturazione in grandi tank refrigerati per essere dryhoppata, confezionata e distribuita fresca negli USA. Quindi, purtroppo, niente più Tipopils per i numerosi fan oltreoceano!2) Chiusura (definitiva!) della barricaia di Klanbarrique. Sì, è proprio così, ci siamo trovati costretti a rivedere le condizioni produttive per tutta la linea Klanbarrique.Tutte le attività svolte presso la mitica barricaia di Trambileno, nei pressi di Rovereto, che è stata finora la “casa” di Banshy e delle sue mirabolanti invenzioni, verranno quindi ora gradualmente spostate nei locali dell’Officina Alchemica di Limido Comasco.3) Blocco del magazzino KB. Lo stop operato dalle nuove condizioni non riguarda solo la lavorazione di nuova birra inviata verso il Trentino, ma ha bloccato finora anche il ri-trasferimento delle birre confezionate da Rovereto a Limido, causando un'interruzione di fornitura che negli ultimi mesi ha virtualmente tolto dal mercato le creazioni del Klan: la buona notizia è che dovremmo finalmente riuscire a riportare queste meraviglie a casa entro Febbraio. La grande sete barbarica sta per finire! Entro Giugno lo spostamento delle operazioni produttive sarà completato, e tutta Klanbarrique troverà un suo nuovo spazio dentro l'Officina Alchemica.A Trambileno rimarrà solo la piccola ma affascinante “Tap Room”, che lavorerà come circolo servendo le birre a marchio BI e KL ma anche una selezione di vini e sidri di fattura artigianale.Grazie a tutti per aver creduto fin qui nella nostra avventura folle di acidificazioni naturali e invecchiamenti in botte, che state tranquilli, cambierà forma ma non si fermerà!".Il caso del Birrificio Italiano è quello che ha fatto più scalpore, ma non è l'unico in cui la discrezionalità lasciata ai singoli funzionari nell'interpretare la norma - in particolare per quanto riguarda l'assetto del magazzino e il procedimento di confezionamento - ha di fatto bloccato l'attività produttiva. Più di un birrificio "in potenza" con cui mi sono confrontata si trova nella condizione di avere tutto pronto per avviare l'attività produttiva, ma non poterlo fare a causa delle richieste di modifiche strutturali o organizzative (peraltro sempre diverse) da parte dell'Agenzia; oppure, con mille peripezie, birrifici già aperti hanno trovato soluzioni più o meno "fantasiose" (per usare un eufemismo) per assecondare queste richieste. E rimane emblematico ciò che mi ha detto una volta un birraio: "Se avessi aperto pochi km più in là, oltre il confine provinciale (e quindi sotto la competenza di un altro ufficio), aprire non sarebbe stato un problema".Come già avevo prefigurato in questo post, dopo aver sentito i birrai, uno dei timori si è palesato: ossia che la mancanza di una disciplina univoca a livello centrale avrebbe aperto ad una pregiudizievole ampia discrezionalità in capo ai singoli uffici. E si sa bene, come tutte le ricerche dimostrano da anni, che l'incertezza normativa è uno dei maggiori ostacoli al fare impresa in Italia. Lungi da me il fare la catastrofista o la qualunquista, per cui qualunque provvedimento positivo ha sempre e comunque il suo effetto boomerang; però risolvere le criticità è doveroso. C'è da augurarsi che questo caso eclatante possa aiutare anche i tanti che, non avendo la stessa "forza contrattuale" del Birrificio Italiano, rimangono nell'ombra.

Riduzione d’accisa, i rovesci della medaglia

Sta tenendo banco in queste ore la comunicazione data dal Birrificio Italiano che, a seguito dell'interpretazione data dall'Agenzia delle Dogane di Como alla nuova normativa che consente ai microbirrifici una riduzione d'accisa del 40%, si è trovato a dover rivedere pesantemente il proprio assetto organizzativo e a rinunciare all'esportazione di Tipopils negli Usa. Scrive infatti il birrificio: "Le recenti norme emanate dallo Stato Italiano riguardanti la possibilità di avvalersi delle riduzioni d’accisa per i birrifici artigianali con produzione inferiore a 10.000 hl/anno lasciano a quanto pare un discreto margine d’interpretazione alle singole Agenzie delle Dogane.L’Agenzia di Como, sotto la cui competenza rientra il Birrificio Italiano, ha optato per una lettura della legge che ci obbliga a rivedere le modalità operative di molte delle nostre attività. Abbiamo provato ad insistere e spiegare, ma non è bastato.Gli effetti sono i seguenti:1) Blocco del programma di tank conditioning consolidato da molti anni con il nostro importatore americano BUnited, grazie al quale la Tipopils veniva spedita ancora in maturazione in grandi tank refrigerati per essere dryhoppata, confezionata e distribuita fresca negli USA. Quindi, purtroppo, niente più Tipopils per i numerosi fan oltreoceano!2) Chiusura (definitiva!) della barricaia di Klanbarrique. Sì, è proprio così, ci siamo trovati costretti a rivedere le condizioni produttive per tutta la linea Klanbarrique.Tutte le attività svolte presso la mitica barricaia di Trambileno, nei pressi di Rovereto, che è stata finora la “casa” di Banshy e delle sue mirabolanti invenzioni, verranno quindi ora gradualmente spostate nei locali dell’Officina Alchemica di Limido Comasco.3) Blocco del magazzino KB. Lo stop operato dalle nuove condizioni non riguarda solo la lavorazione di nuova birra inviata verso il Trentino, ma ha bloccato finora anche il ri-trasferimento delle birre confezionate da Rovereto a Limido, causando un'interruzione di fornitura che negli ultimi mesi ha virtualmente tolto dal mercato le creazioni del Klan: la buona notizia è che dovremmo finalmente riuscire a riportare queste meraviglie a casa entro Febbraio. La grande sete barbarica sta per finire! Entro Giugno lo spostamento delle operazioni produttive sarà completato, e tutta Klanbarrique troverà un suo nuovo spazio dentro l'Officina Alchemica.A Trambileno rimarrà solo la piccola ma affascinante “Tap Room”, che lavorerà come circolo servendo le birre a marchio BI e KL ma anche una selezione di vini e sidri di fattura artigianale.Grazie a tutti per aver creduto fin qui nella nostra avventura folle di acidificazioni naturali e invecchiamenti in botte, che state tranquilli, cambierà forma ma non si fermerà!".Il caso del Birrificio Italiano è quello che ha fatto più scalpore, ma non è l'unico in cui la discrezionalità lasciata ai singoli funzionari nell'interpretare la norma - in particolare per quanto riguarda l'assetto del magazzino e il procedimento di confezionamento - ha di fatto bloccato l'attività produttiva. Più di un birrificio "in potenza" con cui mi sono confrontata si trova nella condizione di avere tutto pronto per avviare l'attività produttiva, ma non poterlo fare a causa delle richieste di modifiche strutturali o organizzative (peraltro sempre diverse) da parte dell'Agenzia; oppure, con mille peripezie, birrifici già aperti hanno trovato soluzioni più o meno "fantasiose" (per usare un eufemismo) per assecondare queste richieste. E rimane emblematico ciò che mi ha detto una volta un birraio: "Se avessi aperto pochi km più in là, oltre il confine provinciale (e quindi sotto la competenza di un altro ufficio), aprire non sarebbe stato un problema".Come già avevo prefigurato in questo post, dopo aver sentito i birrai, uno dei timori si è palesato: ossia che la mancanza di una disciplina univoca a livello centrale avrebbe aperto ad una pregiudizievole ampia discrezionalità in capo ai singoli uffici. E si sa bene, come tutte le ricerche dimostrano da anni, che l'incertezza normativa è uno dei maggiori ostacoli al fare impresa in Italia. Lungi da me il fare la catastrofista o la qualunquista, per cui qualunque provvedimento positivo ha sempre e comunque il suo effetto boomerang; però risolvere le criticità è doveroso. C'è da augurarsi che questo caso eclatante possa aiutare anche i tanti che, non avendo la stessa "forza contrattuale" del Birrificio Italiano, rimangono nell'ombra.