Coronavirus e prospettive future, parte seconda

In questi giorni è giunto nella mia disponibilità uno strumento per analizzare meglio quanto avevo già discusso in questo post (ossia le prospettive che si aprono per i birrifici artigianali in seguito alla serrata per coronavirus): i risultati del sondaggio realizzato dall'Associazione Le Donne della Birra, dal titolo "Birra e nuovi stili di consumo". Va precisato che non si tratta di un'indagine statistica (e quindi effettuata su un campione rappresentativo scientificamente costruito) ma di un sondaggio, ossia una serie di domande fatta circolare al largo; però si tratta comunque di dati di interesse in quanto non solo la sostanziale totalità dei rispondenti consuma birra (ma dai, direte voi), ma quasi l'80% consuma birra artigianale; l'85% consuma birra una o più volte a settimana, con un terzo dei rispondenti operatori di settore (birrai, distributori, publican, sommelier, ecc) e poco più di un quinto homebrewer. Insomma, lo "zoccolo duro" della platea a cui si rivolgono i birrifici artigianali italiani, e le cui opinioni e comportamenti rivestono di conseguenza particolare rilevanza.Innanzitutto, va notato che solo il 23,5% ha diminuito i propri consumi di birra in quarantena: quasi la metà l'ha mantenuta invariata, e il 31% l'ha addirittura aumentata. Per quanto questo non ci dica nulla sulle vendite totali di birra, ci fa comunque capire che, almeno gli appassionati, non si sono fatti scoraggiare - e anzi, hanno probabilmente colto il lockdown come ragione in più per sostenere i birrifici loro cari.Nel mio post mi ero però concentrata in particolare sul tema consegne a domicilio e e-commerce: e su questo fronte i dati sono netti. Se prima del lockdown solo il 10,5% dei rispondenti acquistava birra dai siti di birrifici, pub o beershop, e l'11% da piattaforme di e-commerce, dopo la serrata queste percentuali sono salite rispettivamente al 39% e al 22,5%, per il 61,5% di rispondenti in totale che afferma di aver fatto acquisti online. Balzo in avanti prevedibile, ma ciò che è interessante sono le prospettive future: il 52% degli intervistati ha risposto che vi farà ricorso in futuro sicuramente su base regolare o qualche volta, e il 19% che forse lo farà. Un netto cambiamento delle intenzioni di consumo, se contiamo che solo il 21% afferma di aver fatto ricorso all'e-commerce in epoca pre-Covid. I margini per gli aumenti totali dei consumi a cui facevo riferimento nel mio post probabilmente si annidano in quel 28,6% che prevede di far ricorso all'e-commerce "qualche volta", facendo intuire che intende affiancarlo all'abitudine di frequentare pub e tap room; e, se oltre l'80% degli interpellati ha risposto che la birra significa "condivisione e svago", c'è di che ritenere improbabile un passaggio totale dal bere la birra nei locali al bersela chiusi in casa.Ma anche se gli aumenti totali non ci dovessero essere, non ci sono dubbi (se mai ci fossero stati) sul fatto che i birrifici debbano d'ora in poi attrezzarsi per questa modalità di vendita (cosa che prima non sempre si verificava), direi che ora non li ha più. Del resto, tutti i birrai con cui ho avuto modo di parlare affermano di voler mantenere e-commerce e consegna a domicilio (o il rafforzamento che hanno messo in campo in questo senso durante la serrata) almeno nel medio periodo, anche perché gli ordini tramite questo canale sono per ora sostanzialmente costanti rispetto al lockdown. Certo si impone un ricalibramento delle strategie perché il delivery impone minor marginalità e difficoltà logistiche non indifferenti, però se la virata in questo senso sarà, come pare, abbastanza stabile, potrebbe non essere un male.L'e-commerce poi ha anche cambiato la qualità del consumo, stimolando a provare birre nuove - che magari non si conoscevano perché non erano disponibili nel proprio pub di fiducia, o non erano di birrifici locali abitualmente frequentati: un altro punto che sollevavo nel post, unitamente alle considerazioni sull'uso delle iniziative di comunicazione via social network - canale da cui oltre la metà degli intervistati riceve informazioni in questo campo. Significativo anche che 7 su 10 intervistati affermino di essere disponibili ad ordinare anche birre sconosciute. C'è poi un altro dato che a mio avviso vale la pena sottolineare. Il 43% degli intervistati afferma di aver acquistato birra anche dalla gdo, contro il 36% pre-lockdown: prevedibile nella misura in cui il supermercato è stato per due mesi sostanzialmente la nostra unica frequentazione, e di nuovo una carta in più in mano a quei birrifici artigianali presenti anche su quegli scaffali - dato che, se il 77% dei rispondenti afferma di aver acquistato birre artigianali, è lecito dedurre che siano andati a cercare prima di tutto quelle.Insomma, gli spunti di riflessione per ripartire sono molti, e altri ancora ce ne sarebbero. Personalmente, mi confermano la sensazione già avuta che i cambiamenti imposti dal lockdown saranno almeno in parte permanenti, e che sta ai birrifici usarli in loro favore dopo averli analizzati. Ringrazio l'Associazione Le Donne della Birra per questa iniziativa.

Coronavirus e prospettive future, parte seconda

In questi giorni è giunto nella mia disponibilità uno strumento per analizzare meglio quanto avevo già discusso in questo post (ossia le prospettive che si aprono per i birrifici artigianali in seguito alla serrata per coronavirus): i risultati del sondaggio realizzato dall'Associazione Le Donne della Birra, dal titolo "Birra e nuovi stili di consumo". Va precisato che non si tratta di un'indagine statistica (e quindi effettuata su un campione rappresentativo scientificamente costruito) ma di un sondaggio, ossia una serie di domande fatta circolare al largo; però si tratta comunque di dati di interesse in quanto non solo la sostanziale totalità dei rispondenti consuma birra (ma dai, direte voi), ma quasi l'80% consuma birra artigianale; l'85% consuma birra una o più volte a settimana, con un terzo dei rispondenti operatori di settore (birrai, distributori, publican, sommelier, ecc) e poco più di un quinto homebrewer. Insomma, lo "zoccolo duro" della platea a cui si rivolgono i birrifici artigianali italiani, e le cui opinioni e comportamenti rivestono di conseguenza particolare rilevanza.Innanzitutto, va notato che solo il 23,5% ha diminuito i propri consumi di birra in quarantena: quasi la metà l'ha mantenuta invariata, e il 31% l'ha addirittura aumentata. Per quanto questo non ci dica nulla sulle vendite totali di birra, ci fa comunque capire che, almeno gli appassionati, non si sono fatti scoraggiare - e anzi, hanno probabilmente colto il lockdown come ragione in più per sostenere i birrifici loro cari.Nel mio post mi ero però concentrata in particolare sul tema consegne a domicilio e e-commerce: e su questo fronte i dati sono netti. Se prima del lockdown solo il 10,5% dei rispondenti acquistava birra dai siti di birrifici, pub o beershop, e l'11% da piattaforme di e-commerce, dopo la serrata queste percentuali sono salite rispettivamente al 39% e al 22,5%, per il 61,5% di rispondenti in totale che afferma di aver fatto acquisti online. Balzo in avanti prevedibile, ma ciò che è interessante sono le prospettive future: il 52% degli intervistati ha risposto che vi farà ricorso in futuro sicuramente su base regolare o qualche volta, e il 19% che forse lo farà. Un netto cambiamento delle intenzioni di consumo, se contiamo che solo il 21% afferma di aver fatto ricorso all'e-commerce in epoca pre-Covid. I margini per gli aumenti totali dei consumi a cui facevo riferimento nel mio post probabilmente si annidano in quel 28,6% che prevede di far ricorso all'e-commerce "qualche volta", facendo intuire che intende affiancarlo all'abitudine di frequentare pub e tap room; e, se oltre l'80% degli interpellati ha risposto che la birra significa "condivisione e svago", c'è di che ritenere improbabile un passaggio totale dal bere la birra nei locali al bersela chiusi in casa.Ma anche se gli aumenti totali non ci dovessero essere, non ci sono dubbi (se mai ci fossero stati) sul fatto che i birrifici debbano d'ora in poi attrezzarsi per questa modalità di vendita (cosa che prima non sempre si verificava), direi che ora non li ha più. Del resto, tutti i birrai con cui ho avuto modo di parlare affermano di voler mantenere e-commerce e consegna a domicilio (o il rafforzamento che hanno messo in campo in questo senso durante la serrata) almeno nel medio periodo, anche perché gli ordini tramite questo canale sono per ora sostanzialmente costanti rispetto al lockdown. Certo si impone un ricalibramento delle strategie perché il delivery impone minor marginalità e difficoltà logistiche non indifferenti, però se la virata in questo senso sarà, come pare, abbastanza stabile, potrebbe non essere un male.L'e-commerce poi ha anche cambiato la qualità del consumo, stimolando a provare birre nuove - che magari non si conoscevano perché non erano disponibili nel proprio pub di fiducia, o non erano di birrifici locali abitualmente frequentati: un altro punto che sollevavo nel post, unitamente alle considerazioni sull'uso delle iniziative di comunicazione via social network - canale da cui oltre la metà degli intervistati riceve informazioni in questo campo. Significativo anche che 7 su 10 intervistati affermino di essere disponibili ad ordinare anche birre sconosciute. C'è poi un altro dato che a mio avviso vale la pena sottolineare. Il 43% degli intervistati afferma di aver acquistato birra anche dalla gdo, contro il 36% pre-lockdown: prevedibile nella misura in cui il supermercato è stato per due mesi sostanzialmente la nostra unica frequentazione, e di nuovo una carta in più in mano a quei birrifici artigianali presenti anche su quegli scaffali - dato che, se il 77% dei rispondenti afferma di aver acquistato birre artigianali, è lecito dedurre che siano andati a cercare prima di tutto quelle.Insomma, gli spunti di riflessione per ripartire sono molti, e altri ancora ce ne sarebbero. Personalmente, mi confermano la sensazione già avuta che i cambiamenti imposti dal lockdown saranno almeno in parte permanenti, e che sta ai birrifici usarli in loro favore dopo averli analizzati. Ringrazio l'Associazione Le Donne della Birra per questa iniziativa.

Una birra a “Bondai” Beach

Come chi mi segue già sa, e come già ho scritto sul Giornale della Birra, ho avuto nei giorni scorsi il piacere di provare le birre del birrificio Bondai: una nuova attività nata da Luca Dalla Torre - che ho avuto occasione di conoscere anni fa nel giudicare nei concorsi homebrewer in regione, dove lui faceva regolarmente incetta di premi - e che si è trovata ad aprire proprio in pieno lockdown - con i pro e i contro del caso, come Luca ha spiegato bene nell'intervista linkata sopra (che vi invito a leggere, anche per avere qualche informazione in più sul birrificio). Un passo, a dire il vero, atteso da tempo e da molti; dato che Luca non aveva mai fatto mistero dei suoi sogni brassicoli, e che le sue birre avevano avuto modo di farsi conoscere ed apprezzare in maniera notevole per un homebrewer anche oltre i confini regionali. Un bene per l'inizio dell'attività, ma forse anche un'arma a doppio taglio: perché si sa che passare dall'impiantino di casa a quello di un birrificio non è facile, e se le aspettative sono alte si rischia di deluderle. Pur fiduciosa in Luca e nella sua ben nota maniacale precisione nel lavoro, ero quindi curiosa di assaggiare le birre uscite dal nuovo impianto - la Pils Beib, la Apa Point Break, la American Ipa Listen e la American Amber Ale Heya!.In quanto alla prima, devo dire che in rima battuta mi aveva lasciata abbastanza perplessa: non tanto perché avessi riscontrato dei difetti, quanto perché all'aroma e al primo sorso mi era sembrata "la solita Pils" - senza che notassi alcuna "firma" di Luca, che tendenzialmente mira a "stupire". In realtà esibisce poi un peculiare e discretamente persistente ritorno di cereale, che in chiusura si amalgama egregiamente con l'amaro elegante: non un "marchio di stupore", ma quantomeno un "marchio di fabbrica" - per quanto gli stili tedeschi non siano propriamente nelle corde del birraio, che preferisce quelli britannici e americani.E lo testimonia senz'altro la Apa Point Break: un tripudio tropicale all'aroma (Mosaic, Citra e Amarillo per la precisione), dall'ananas, alla papaya, al litchi; corpo snello ma non evanescente, con leggera tostatura; prima di un finale di un amaro fruttato, morbido e non troppo persistente. Si capisce che è fatta per stupire, ma ha il merito di non stroppiare - nonché di bersi con estrema facilità, pur senza cadere nel ruffiano.Particolarmente interessante è risultato il confronto con la Listen, in quanto si coglie la precisa volontà di differenziare i due stili (si sa che i confini tra Ipa e Apa a volte risultano sfumati): qui si coglie che la volontà non è quella di stupire con mirabolanze tropicali, ma dando un profilo aromatico estremamente netto, pulito e pungente - dominano i toni tra il resinoso e l'agrumato, con anche una lieve punta erbacea. Corpo biscottato ben sostenuto ma snello, prima di una chiusura nettamente secca ed erbacea. Notevole armonia complessiva.Da ultimo la Heya!: luppolatura tra l'erbaceo e l'agrumato, sostenuta dal biscottato del malto; corpo molto snello, che lascia il caramello solo sullo sfondo, prima di una chiusura erbacea, secca e netta in cui ritorna anche il biscotto. Personalmente avrei apprezzato un corpo in cui il caramello fosse un po' più robusto, ma non si tratta di uno "squilibrio" tale da nuocere alla gradevolezza dell'insieme.Nel complesso, direi che il Bondai non ha deluso le aspettative per la partenza: birre semplici ma non banali, pulite e ben costruite. Per certi versi si sente ancora il "tocco dell'homebrewer", quello intento a "fare le pulci" alle proprie birre e a cercare sempre che cosa si potrebbe migliorare. Che come inizio, si dirà, non è male.

Una birra a “Bondai” Beach

Come chi mi segue già sa, e come già ho scritto sul Giornale della Birra, ho avuto nei giorni scorsi il piacere di provare le birre del birrificio Bondai: una nuova attività nata da Luca Dalla Torre - che ho avuto occasione di conoscere anni fa nel giudicare nei concorsi homebrewer in regione, dove lui faceva regolarmente incetta di premi - e che si è trovata ad aprire proprio in pieno lockdown - con i pro e i contro del caso, come Luca ha spiegato bene nell'intervista linkata sopra (che vi invito a leggere, anche per avere qualche informazione in più sul birrificio). Un passo, a dire il vero, atteso da tempo e da molti; dato che Luca non aveva mai fatto mistero dei suoi sogni brassicoli, e che le sue birre avevano avuto modo di farsi conoscere ed apprezzare in maniera notevole per un homebrewer anche oltre i confini regionali. Un bene per l'inizio dell'attività, ma forse anche un'arma a doppio taglio: perché si sa che passare dall'impiantino di casa a quello di un birrificio non è facile, e se le aspettative sono alte si rischia di deluderle. Pur fiduciosa in Luca e nella sua ben nota maniacale precisione nel lavoro, ero quindi curiosa di assaggiare le birre uscite dal nuovo impianto - la Pils Beib, la Apa Point Break, la American Ipa Listen e la American Amber Ale Heya!.In quanto alla prima, devo dire che in rima battuta mi aveva lasciata abbastanza perplessa: non tanto perché avessi riscontrato dei difetti, quanto perché all'aroma e al primo sorso mi era sembrata "la solita Pils" - senza che notassi alcuna "firma" di Luca, che tendenzialmente mira a "stupire". In realtà esibisce poi un peculiare e discretamente persistente ritorno di cereale, che in chiusura si amalgama egregiamente con l'amaro elegante: non un "marchio di stupore", ma quantomeno un "marchio di fabbrica" - per quanto gli stili tedeschi non siano propriamente nelle corde del birraio, che preferisce quelli britannici e americani.E lo testimonia senz'altro la Apa Point Break: un tripudio tropicale all'aroma (Mosaic, Citra e Amarillo per la precisione), dall'ananas, alla papaya, al litchi; corpo snello ma non evanescente, con leggera tostatura; prima di un finale di un amaro fruttato, morbido e non troppo persistente. Si capisce che è fatta per stupire, ma ha il merito di non stroppiare - nonché di bersi con estrema facilità, pur senza cadere nel ruffiano.Particolarmente interessante è risultato il confronto con la Listen, in quanto si coglie la precisa volontà di differenziare i due stili (si sa che i confini tra Ipa e Apa a volte risultano sfumati): qui si coglie che la volontà non è quella di stupire con mirabolanze tropicali, ma dando un profilo aromatico estremamente netto, pulito e pungente - dominano i toni tra il resinoso e l'agrumato, con anche una lieve punta erbacea. Corpo biscottato ben sostenuto ma snello, prima di una chiusura nettamente secca ed erbacea. Notevole armonia complessiva.Da ultimo la Heya!: luppolatura tra l'erbaceo e l'agrumato, sostenuta dal biscottato del malto; corpo molto snello, che lascia il caramello solo sullo sfondo, prima di una chiusura erbacea, secca e netta in cui ritorna anche il biscotto. Personalmente avrei apprezzato un corpo in cui il caramello fosse un po' più robusto, ma non si tratta di uno "squilibrio" tale da nuocere alla gradevolezza dell'insieme.Nel complesso, direi che il Bondai non ha deluso le aspettative per la partenza: birre semplici ma non banali, pulite e ben costruite. Per certi versi si sente ancora il "tocco dell'homebrewer", quello intento a "fare le pulci" alle proprie birre e a cercare sempre che cosa si potrebbe migliorare. Che come inizio, si dirà, non è male.

Verso la fase 2…in ordine sparso?

Dopo la lettera da parte del comitato spontaneo dei gestori dei pubblici esercizi milanesi, ho iniziato a fare più attenzione a quelle che sono le istanze di gestori di pub e affini. In particolare dopo l'annuncio del tanto atteso decreto per la fase 2; che, tra stupori e polemiche, ha prospettato al 1 giugno la riapertura di bar e ristoranti (categoria sotto al quale ricadono la grande maggioranza dei pub).Inizialmente le reazioni erano state di contrarietà: impossibile aspettare così a lungo, molti rischiano di chiudere, consentire soltanto l'asporto non risolve perché genera più costi che incassi. Si sono mossi presidenti di Regione - alcuni, al momento in cui scriviamo, intendono anticipare le riaperture -, associazioni di categoria e singoli gruppi, con tanto di raccolte di firme, flashmob e affini.Nel giro di poco tempo però hanno iniziato a farsi sentire anche altre voci - che in realtà c'erano anche prima, semplicemente erano passate più in sordina: ossia quelle che sostengono che riaprire in una fase in cui è ancora necessario osservare pesanti misure per evitare la ripresa del contagio sia in realtà, come si dice dalle mie parti, "un tacòn pedo del sbrech" (per i non venetosinistrapiavofoni: una toppa peggiore dello strappo). Posti a sedere ridotti anche di oltre la metà, spese per l'adeguamento dei locali a fronte di pesanti incertezze su quali saranno effettivamente le normative di sicurezza, prospettive di un flusso di clienti assai ridotto: tutti elementi che, secondo i sostenitori di questa tesi, condannerebbero ugualmente gli esercizi pubblici al fallimento. Meglio a questo punto, dicono, prevedere adeguate misure di sostegno pubblico per qualche mese in più (e che queste misure arrivino sul serio, senza i pesanti ritardi visti finora), e per poi ripartire a pieno regime o quasi. Tra queste voci c'è stata ad esempio quella del Comitato HoReCa Lombardia, che la settimana scorsa ha simbolicamente consegnato le chiavi dei propri locali al sindaco di Milano con questa richiesta.Si può dire che siano due facce della stessa medaglia, e non solo nella misura in cui sono due punti di vista (diversi ma altrettanto legittimi) su come affrontare un problema che è lo stesso per tutti; ma anche perché è ragionevole credere che, a seconda dei singoli casi, possa essere più adatto l'uno o l'altro approccio. Credo ad esempio non sia un caso che il primo punto di vista sia più diffuso in quelle zone che sono state meno pesantemente colpite dall'epidemia, o che comunque vi hanno fatto meglio fronte (e lo vedo concretamente qui a Nordest); nonché che siano evidentemente molti i fattori da prendere in considerazione per valutare se la riapertura convenga o se la chiusura sia ancora sostenibile (l'essere più o meno grandi e strutturati, l'avere più o meno dipendenti, l'avere o meno cucina, essere proprietari o affittuari della struttura, trovarsi in un luogo con più o meno afflusso di pubblico, ed altro ancora). Questo per dire che, come sempre nelle situazioni complesse, sarebbe illusorio voler cercare una soluzione semplice (che sia il "riapriamo tutto senza se e senza ma" o la chiusura ad oltranza).Senza però voler giudicare le singole posizioni (visto che non sono publican e quindi non potrei mai permettermi di farlo), una considerazione mi sento di farla. Ossia quella che mi dispiacerebbe vedere spuntare i coltelli tra chi vuole riaprire subito, e chi invece invoca il prosieguo della chiusura con sostegno statale. Già ho sentito qualche espressione di astio di una corrente di pensiero verso l'altra, e non vorrei si andasse in peggio. Andare divisi come categoria è spesso (per non dire sempre) pericoloso, e a rischio di trovarsi "cornuti e mazziati" (e no, questo non è un modo di dire veneto). Mi chiedo se sia possibile trovare una posizione di sintesi; o una sorta di soluzione flessibile per cui si possa optare, per un periodo di tempo definito, per l'apertura oppure per la chiusura sostenuta da apposite misure. Sarei felice di ricevere l'opinione di qualche publican o ristoratore in merito.

Verso la fase 2…in ordine sparso?

Dopo la lettera da parte del comitato spontaneo dei gestori dei pubblici esercizi milanesi, ho iniziato a fare più attenzione a quelle che sono le istanze di gestori di pub e affini. In particolare dopo l'annuncio del tanto atteso decreto per la fase 2; che, tra stupori e polemiche, ha prospettato al 1 giugno la riapertura di bar e ristoranti (categoria sotto al quale ricadono la grande maggioranza dei pub).Inizialmente le reazioni erano state di contrarietà: impossibile aspettare così a lungo, molti rischiano di chiudere, consentire soltanto l'asporto non risolve perché genera più costi che incassi. Si sono mossi presidenti di Regione - alcuni, al momento in cui scriviamo, intendono anticipare le riaperture -, associazioni di categoria e singoli gruppi, con tanto di raccolte di firme, flashmob e affini.Nel giro di poco tempo però hanno iniziato a farsi sentire anche altre voci - che in realtà c'erano anche prima, semplicemente erano passate più in sordina: ossia quelle che sostengono che riaprire in una fase in cui è ancora necessario osservare pesanti misure per evitare la ripresa del contagio sia in realtà, come si dice dalle mie parti, "un tacòn pedo del sbrech" (per i non venetosinistrapiavofoni: una toppa peggiore dello strappo). Posti a sedere ridotti anche di oltre la metà, spese per l'adeguamento dei locali a fronte di pesanti incertezze su quali saranno effettivamente le normative di sicurezza, prospettive di un flusso di clienti assai ridotto: tutti elementi che, secondo i sostenitori di questa tesi, condannerebbero ugualmente gli esercizi pubblici al fallimento. Meglio a questo punto, dicono, prevedere adeguate misure di sostegno pubblico per qualche mese in più (e che queste misure arrivino sul serio, senza i pesanti ritardi visti finora), e per poi ripartire a pieno regime o quasi. Tra queste voci c'è stata ad esempio quella del Comitato HoReCa Lombardia, che la settimana scorsa ha simbolicamente consegnato le chiavi dei propri locali al sindaco di Milano con questa richiesta.Si può dire che siano due facce della stessa medaglia, e non solo nella misura in cui sono due punti di vista (diversi ma altrettanto legittimi) su come affrontare un problema che è lo stesso per tutti; ma anche perché è ragionevole credere che, a seconda dei singoli casi, possa essere più adatto l'uno o l'altro approccio. Credo ad esempio non sia un caso che il primo punto di vista sia più diffuso in quelle zone che sono state meno pesantemente colpite dall'epidemia, o che comunque vi hanno fatto meglio fronte (e lo vedo concretamente qui a Nordest); nonché che siano evidentemente molti i fattori da prendere in considerazione per valutare se la riapertura convenga o se la chiusura sia ancora sostenibile (l'essere più o meno grandi e strutturati, l'avere più o meno dipendenti, l'avere o meno cucina, essere proprietari o affittuari della struttura, trovarsi in un luogo con più o meno afflusso di pubblico, ed altro ancora). Questo per dire che, come sempre nelle situazioni complesse, sarebbe illusorio voler cercare una soluzione semplice (che sia il "riapriamo tutto senza se e senza ma" o la chiusura ad oltranza).Senza però voler giudicare le singole posizioni (visto che non sono publican e quindi non potrei mai permettermi di farlo), una considerazione mi sento di farla. Ossia quella che mi dispiacerebbe vedere spuntare i coltelli tra chi vuole riaprire subito, e chi invece invoca il prosieguo della chiusura con sostegno statale. Già ho sentito qualche espressione di astio di una corrente di pensiero verso l'altra, e non vorrei si andasse in peggio. Andare divisi come categoria è spesso (per non dire sempre) pericoloso, e a rischio di trovarsi "cornuti e mazziati" (e no, questo non è un modo di dire veneto). Mi chiedo se sia possibile trovare una posizione di sintesi; o una sorta di soluzione flessibile per cui si possa optare, per un periodo di tempo definito, per l'apertura oppure per la chiusura sostenuta da apposite misure. Sarei felice di ricevere l'opinione di qualche publican o ristoratore in merito.

Una lettera da Milano

Ricevo e ripubblico la lettera indirizzata al sindaco di Milano dal Comitato spontaneo dei pubblici esercizi di Milano contro il Covid 19. I promotori riferiscono di aver raccolto una quarantina di firme in fase di lancio, e che al momento l'appello sta raccogliendo ulteriori adesioni: gli esercenti milanesi che volessero sottoscriverlo possono farlo su @Covid Network PE (o contattare i recapiti indicati). Daniele Martinelli Portavoce del Comitato spontaneo dei Pubblici Esercizi di Milano contro Covid-19 Residente in Via Savona, 127 – 20144 Milano E-mail oldfoxpubmilano@gmail.com Tel. 334 174 8281 Milano, 26 aprile 2020 Alla Cortese attenzione di: Egregio Sindaco di Milano Giuseppe Sala Giunta Comunale della Città di Milano Consigli di Zona di Milano Tempi straordinari richiedono misure straordinarie Spunti e integrazioni per Milano 2020: strategie comuni per l’esercizio di attività di somministrazione di pub, birrerie e locali serali durante la Fase 2 Covid-19 Gentili Signore, Egregi Signori, il mio nome è Daniele Martinelli proprietario e gestore di uno storico Pub di Milano che esiste sin dal secondo dopoguerra e mi faccio portavoce di oltre un centinaio di operatori del settore Pub, Birrerie e Locali serali di Milano, ma credo di accomunare le volontà di molti altri colleghi nel rispondere all’invito fatto oggi dal Sindaco a presentare idee e suggerimenti per la Fase 2 e per il Progetto Milano 2020, del quali condividiamo numerosi aspetti. Gli obbiettivi del presente documento sono molteplici: 1)Permettere ai pubblici esercizi che operano sul territorio di Milano di lavorare con la professionalità che li ha sempre contraddistinti, in collaborazione con il Comune di Milano nella salvaguardia della salute pubblica. 2) Mantenere i posti di lavoro attualmente attivi. Le nostre sono piccole aziende, ma sono costituite da una moltitudine di persone, spesso famigliari, che lavorano e vivono nella città di Milano. 3) Risvegliare la socialità e la partecipazione alla vita di quartiere, anche a sostegno delle politiche sociali promosse nel documento Milano 2020. Le nostre proposte per la Fase 2 Covid-19 Chiediamo di essere partocinati in quanto attori attivi del progetto YES Milano Chiediamo al Comune di prevedere per il nostro settore poche regole e chiare, che non generino ambiguità e la possibilità di interpretazione da parte degli enti preposti al controllo, in modo da consentirci di svolgere con serenità e sicurezza il nostro lavoro. Proponiamo: 1) Riduzione della capienza massima rispetto a quella attuale con accesso contingentato non per distanza ma per un numero di accessi massimo determinato dallo spazio di somministrazione indicato sulla licenza dell’esercizio (es. 50 mq di spazio somministrazione = 25 clienti). Per integrare il flusso di clientela perduto, che andrà a sommarsi alla fisiologica riduzione di socialità determinata dalla pandemia, a questo dovrà corrispondere un ampliamento dell’utilizzo dell’area esterna del locale. A tal proposito proponiamo: - Ampliamento/creazione aree dehor a canone COSAP zero, attraverso l’emissione da parte degli uffici OSP di autorizzazioni temporanee di occupazione suolo pubblico a titolo gratuito. Suggeriamo ad esempio l’utilizzo di stalli di parcheggio o spartitraffico identificati all’interno delle nuove Aree 30 già ipotizzate dal Comune e ove possibile la creazione di ZTL serali, da individuare su indicazione dei Consigli di Zona, che ben conoscono la viabilità di ogni quartiere. Tali autorizzazioni straordinarie saranno caratterizzate dalla temporaneità (la durata della Fase 2) e dalla gratuità (per permettere alle aziende di riprendersi dai mesi di serrata), oltre che da una necessaria snellezza burocratica (dovranno potersi richiedere con autocertificazione) che consenta la loro celere attuazione. - Come iniziativa di quartiere, finalizzata anche al sostegno dei pubblici esercizi, proponiamo la possibilità di invitare il vicinato a portare con sé delle sedute private (sedie pieghevoli, sgabelli, etc) per fruire dei servizi di somministrazione in aree pubbliche, in modo che le persone si possano meglio distanziare e siano incentivate a partecipare alla vita della loro zona secondo le linee guida di Yes Milano. I nostri esercizi si propongono di sponsorizzare l’iniziativa, ad esempio con l’offerta di scontistica dedicata, mentre richiedono al Comune una campagna di sensibilizzazione nei confronti dei residenti, in cui la pubblica amministrazione sostenga questa attività (ad esempio con la creazione di un bollino Yes Milano). - Ad integrazione di entrambi i punti, per distanziare meglio le persone in eventuali file di servizio all’interno del locale, riteniamo che sia efficace consentire al cliente di richiedere le bevande in appositi bar e banchi spina collocati nelle aree esterne. Per questo proponiamo anche la concessione straordinaria di licenze di somministrazione al di fuori dell’area di pertinenza del locale. - Servizio al banco a numero chiuso per meglio distanziare le persone all’interno del locale ed evitare gli assembramenti. - Un’altra possibile strategia che potrebbe attuarsi in un Comune smart e social come il nostro è quella di interpellare Google per la realizzazione di un’app che tracci tutti i locali di Milano e indichi quando c’è capienza per gli avventori (sulla base della capacità determinata in relazione alla superfice di somministrazione). Google già comunica sulle pagine business dei nostri esercizi se il locale è affollato o no, ma con i dati in tempo reale l’app potrebbe indicare alla clientela quanti siano i posti realmente disponibili e dove. - Tutte queste misure mirano a garantire un corretto distanziamento della clientela, e possono essere messe in atto con efficacia da noi gestori. Posto che questo ci consentirà di mantenere le necessarie distanze di sicurezza tra le persone, richiediamo lo sgravio della responsabilità personale del gestore per comportanti non corretti dei clienti all’interno dei locali, dei dehor e delle aree attigue, come ad esempio la formazione di eventuali assembramenti, ritenendo che questo sia una questione di ordine pubblico. Riteniamo inoltre necessaria una moratoria temporanea delle sanzioni per i pubblici esercizi dovuti ai controlli delle autorità, che per almeno i primi 6 mesi si dovranno intendere finalizzati all'ausilio per l'adeguamento e non alla repressione attraverso lo strumento sanzionatorio. Sanificazione del locale con metodologie smart e di ragionevole attuazione: - Utilizzo di lampade UBV certificate che creano ozono all'interno di ambienti chiusi e raggiungono in sicurezza ogni angolo del locale senza problemi, in grado di abbattere le cariche virali e batteriche anche del 90%. - Utilizzo di depuratori d’aria certificati in luogo di una eventuale richiesta di adeguamento dei sistemi di aria condizionata a standard ospedalieri, non sostenibile né in termini di tempistiche, né in termini economici. - Formazione del personale al corretto utilizzo dei DPI che saranno eventualmente previsti. - Obbligo dei clienti alla sanificazione delle mani all'ingresso con appositi dispenser da noi forniti. Tutela delle categorie più fragili con apposite politiche d’esercizio: - Istituzione di servizio di delivery (in molti esercizi già attivo) dedicato per offerte agli over 65, sviluppato dai locali. - I Gestori dei locali si riservano di vietare l’ingresso ai maggiori di 65 anni e ai minorenni non accompagnati dai genitori. Misure da evitare perché non sostenibili, non realizzabili e non efficaci: - Uso della mascherina e dei plexiglass per isolare i clienti. La salute della clientela sarà tutelata dalla distanza sociale. Imporre ulteriori divieti e barriere stroncherebbe sul nascere la ripresa delle attività dei pubblici esercizi. - Misurazione della temperatura all’ingresso. Non avrebbe senso, dal momento che la contagiosità massima si ha nella fase iniziale, che è a-piretica. - Pagamento di COSAP e TARI per il 2020. Le nostre aziende necessitano di uno sgravio per potersi riprendere dopo una lunga inattività, cancellare il pagamento di questi tributi sarebbe di notevole aiuto per risollevare le nostre finanze e darci una possibilità di ripresa. In sintesi: • • Vorremmo il patrocinio del Comune Milano aderendo a YES MILANO, con comunicazione istituzionale sui vostri canali istituzionali; Fondamentale l’utilizzo straordinario dei dehor con le modalità precedentemente descritte per reintegrare i posti interni perduti garantendo così distanziamento sociale ma non la diminuzione dei servizi offerti. Certi di una vostra risposta e fiduciosi per l’inizio di un produttivo dialogo, vi porgiamo i nostri più cordiali saluti. Comitato spontaneo dei Pubblici Esercizi di Milano contro Covid-19

Una lettera da Milano

Ricevo e ripubblico la lettera indirizzata al sindaco di Milano dal Comitato spontaneo dei pubblici esercizi di Milano contro il Covid 19. I promotori riferiscono di aver raccolto una quarantina di firme in fase di lancio, e che al momento l'appello sta raccogliendo ulteriori adesioni: gli esercenti milanesi che volessero sottoscriverlo possono farlo su @Covid Network PE (o contattare i recapiti indicati). Daniele Martinelli Portavoce del Comitato spontaneo dei Pubblici Esercizi di Milano contro Covid-19 Residente in Via Savona, 127 – 20144 Milano E-mail oldfoxpubmilano@gmail.com Tel. 334 174 8281 Milano, 26 aprile 2020 Alla Cortese attenzione di: Egregio Sindaco di Milano Giuseppe Sala Giunta Comunale della Città di Milano Consigli di Zona di Milano Tempi straordinari richiedono misure straordinarie Spunti e integrazioni per Milano 2020: strategie comuni per l’esercizio di attività di somministrazione di pub, birrerie e locali serali durante la Fase 2 Covid-19 Gentili Signore, Egregi Signori, il mio nome è Daniele Martinelli proprietario e gestore di uno storico Pub di Milano che esiste sin dal secondo dopoguerra e mi faccio portavoce di oltre un centinaio di operatori del settore Pub, Birrerie e Locali serali di Milano, ma credo di accomunare le volontà di molti altri colleghi nel rispondere all’invito fatto oggi dal Sindaco a presentare idee e suggerimenti per la Fase 2 e per il Progetto Milano 2020, del quali condividiamo numerosi aspetti. Gli obbiettivi del presente documento sono molteplici: 1)Permettere ai pubblici esercizi che operano sul territorio di Milano di lavorare con la professionalità che li ha sempre contraddistinti, in collaborazione con il Comune di Milano nella salvaguardia della salute pubblica. 2) Mantenere i posti di lavoro attualmente attivi. Le nostre sono piccole aziende, ma sono costituite da una moltitudine di persone, spesso famigliari, che lavorano e vivono nella città di Milano. 3) Risvegliare la socialità e la partecipazione alla vita di quartiere, anche a sostegno delle politiche sociali promosse nel documento Milano 2020. Le nostre proposte per la Fase 2 Covid-19 Chiediamo di essere partocinati in quanto attori attivi del progetto YES Milano Chiediamo al Comune di prevedere per il nostro settore poche regole e chiare, che non generino ambiguità e la possibilità di interpretazione da parte degli enti preposti al controllo, in modo da consentirci di svolgere con serenità e sicurezza il nostro lavoro. Proponiamo: 1) Riduzione della capienza massima rispetto a quella attuale con accesso contingentato non per distanza ma per un numero di accessi massimo determinato dallo spazio di somministrazione indicato sulla licenza dell’esercizio (es. 50 mq di spazio somministrazione = 25 clienti). Per integrare il flusso di clientela perduto, che andrà a sommarsi alla fisiologica riduzione di socialità determinata dalla pandemia, a questo dovrà corrispondere un ampliamento dell’utilizzo dell’area esterna del locale. A tal proposito proponiamo: - Ampliamento/creazione aree dehor a canone COSAP zero, attraverso l’emissione da parte degli uffici OSP di autorizzazioni temporanee di occupazione suolo pubblico a titolo gratuito. Suggeriamo ad esempio l’utilizzo di stalli di parcheggio o spartitraffico identificati all’interno delle nuove Aree 30 già ipotizzate dal Comune e ove possibile la creazione di ZTL serali, da individuare su indicazione dei Consigli di Zona, che ben conoscono la viabilità di ogni quartiere. Tali autorizzazioni straordinarie saranno caratterizzate dalla temporaneità (la durata della Fase 2) e dalla gratuità (per permettere alle aziende di riprendersi dai mesi di serrata), oltre che da una necessaria snellezza burocratica (dovranno potersi richiedere con autocertificazione) che consenta la loro celere attuazione. - Come iniziativa di quartiere, finalizzata anche al sostegno dei pubblici esercizi, proponiamo la possibilità di invitare il vicinato a portare con sé delle sedute private (sedie pieghevoli, sgabelli, etc) per fruire dei servizi di somministrazione in aree pubbliche, in modo che le persone si possano meglio distanziare e siano incentivate a partecipare alla vita della loro zona secondo le linee guida di Yes Milano. I nostri esercizi si propongono di sponsorizzare l’iniziativa, ad esempio con l’offerta di scontistica dedicata, mentre richiedono al Comune una campagna di sensibilizzazione nei confronti dei residenti, in cui la pubblica amministrazione sostenga questa attività (ad esempio con la creazione di un bollino Yes Milano). - Ad integrazione di entrambi i punti, per distanziare meglio le persone in eventuali file di servizio all’interno del locale, riteniamo che sia efficace consentire al cliente di richiedere le bevande in appositi bar e banchi spina collocati nelle aree esterne. Per questo proponiamo anche la concessione straordinaria di licenze di somministrazione al di fuori dell’area di pertinenza del locale. - Servizio al banco a numero chiuso per meglio distanziare le persone all’interno del locale ed evitare gli assembramenti. - Un’altra possibile strategia che potrebbe attuarsi in un Comune smart e social come il nostro è quella di interpellare Google per la realizzazione di un’app che tracci tutti i locali di Milano e indichi quando c’è capienza per gli avventori (sulla base della capacità determinata in relazione alla superfice di somministrazione). Google già comunica sulle pagine business dei nostri esercizi se il locale è affollato o no, ma con i dati in tempo reale l’app potrebbe indicare alla clientela quanti siano i posti realmente disponibili e dove. - Tutte queste misure mirano a garantire un corretto distanziamento della clientela, e possono essere messe in atto con efficacia da noi gestori. Posto che questo ci consentirà di mantenere le necessarie distanze di sicurezza tra le persone, richiediamo lo sgravio della responsabilità personale del gestore per comportanti non corretti dei clienti all’interno dei locali, dei dehor e delle aree attigue, come ad esempio la formazione di eventuali assembramenti, ritenendo che questo sia una questione di ordine pubblico. Riteniamo inoltre necessaria una moratoria temporanea delle sanzioni per i pubblici esercizi dovuti ai controlli delle autorità, che per almeno i primi 6 mesi si dovranno intendere finalizzati all'ausilio per l'adeguamento e non alla repressione attraverso lo strumento sanzionatorio. Sanificazione del locale con metodologie smart e di ragionevole attuazione: - Utilizzo di lampade UBV certificate che creano ozono all'interno di ambienti chiusi e raggiungono in sicurezza ogni angolo del locale senza problemi, in grado di abbattere le cariche virali e batteriche anche del 90%. - Utilizzo di depuratori d’aria certificati in luogo di una eventuale richiesta di adeguamento dei sistemi di aria condizionata a standard ospedalieri, non sostenibile né in termini di tempistiche, né in termini economici. - Formazione del personale al corretto utilizzo dei DPI che saranno eventualmente previsti. - Obbligo dei clienti alla sanificazione delle mani all'ingresso con appositi dispenser da noi forniti. Tutela delle categorie più fragili con apposite politiche d’esercizio: - Istituzione di servizio di delivery (in molti esercizi già attivo) dedicato per offerte agli over 65, sviluppato dai locali. - I Gestori dei locali si riservano di vietare l’ingresso ai maggiori di 65 anni e ai minorenni non accompagnati dai genitori. Misure da evitare perché non sostenibili, non realizzabili e non efficaci: - Uso della mascherina e dei plexiglass per isolare i clienti. La salute della clientela sarà tutelata dalla distanza sociale. Imporre ulteriori divieti e barriere stroncherebbe sul nascere la ripresa delle attività dei pubblici esercizi. - Misurazione della temperatura all’ingresso. Non avrebbe senso, dal momento che la contagiosità massima si ha nella fase iniziale, che è a-piretica. - Pagamento di COSAP e TARI per il 2020. Le nostre aziende necessitano di uno sgravio per potersi riprendere dopo una lunga inattività, cancellare il pagamento di questi tributi sarebbe di notevole aiuto per risollevare le nostre finanze e darci una possibilità di ripresa. In sintesi: • • Vorremmo il patrocinio del Comune Milano aderendo a YES MILANO, con comunicazione istituzionale sui vostri canali istituzionali; Fondamentale l’utilizzo straordinario dei dehor con le modalità precedentemente descritte per reintegrare i posti interni perduti garantendo così distanziamento sociale ma non la diminuzione dei servizi offerti. Certi di una vostra risposta e fiduciosi per l’inizio di un produttivo dialogo, vi porgiamo i nostri più cordiali saluti. Comitato spontaneo dei Pubblici Esercizi di Milano contro Covid-19

Coronavirus e prospettive future

È notizia di qualche giorno fa che, secondo un sondaggio condotto dalla americana Brewers Association, praticamente la metà dei birrifici artigianali americani afferma di poter resistere non più di tre mesi in una situazione di serrata come quella imposta per la pandemia; e poco più del 10% addirittura non più di un mese. Mi sono quindi chiesta che cosa ne pensassero in merito i birrai italiani: quanto ritengono che il proprio birrificio, o il comparto nel suo insieme, potrebbe resistere in questo regime di restrizioni? Come le stanno affrontando? Che prospettive vedono per la ripartenza? Ho quindi fatto circolare una mail tra i miei contatti birrari, per raccogliere alcune opinioni (senza avere valore di sondaggio, ma che possono comunque servire a capire gli umori). Ringrazio da subito tutti coloro che mi hanno risposto, anche perché lo hanno sempre fatto in maniera articolata, senza limitarsi a frasi di circostanza.Innanzitutto, va rilevato che quasi tutti coloro che hanno dipendenti hanno riferito di averne posto almeno alcuni in cassa integrazione; nonché di aver usufruito di misure previste per legge come sospensione dei mutui, o altre concordate con singoli clienti e fornitori per la dilazione di alcune scadenze. Così come più o meno tutti sono posti in difficoltà dal fatto che utenze, accise e altre voci di spesa non sono viceversa state bloccate. La liquidità quindi è, come sempre detto, uno dei primi problemi a porsi.C'è poi la questione magazzino: come fa notare un birraio che preferisce rimanere anonimo,"soprattutto chi lavora con tipologie di birra che vanno bevute giovani, dopo tre mesi rischia di buttarle. Meno male che noi abbiamo soprattutto stili che invece guadagnano dall'invecchiamento; e che abbiamo poca birra in magazzino, che stiamo vendendo a domicilio". Una situazione in cui, afferma, "possiamo resistere, ma non oltre i sei mesi. Senza contare che anche ripartire sarà dura: si lavorerà a ranghi ridotti e ci vorrà tempo sia per ricevere i crediti che per pagare i debiti. Il 2020 ormai è segnato: credo che che ci saranno cali di fatturato almeno del 60% sull'anno".Anche il birrificio Benaco 70, sul lago di Garda, sta lavorando con le consegne a domicilio; con le quali ritiene di poter resistere, a detta di Erica, "qualche mese credo, ma faccio fatica a quantificare". Le preoccupazioni si concentrano piuttosto sulla ripartenza, soprattutto per una realtà che conta molto sul proprio brewpub e sulle presenze turistiche: "Il pub è un luogo di aggregazione per antonomasia, come faremo a rispettare i 2 metri di distanza? - si chiede Erica -. Niente musica dal vivo? Niente eventi? E poi vendiamo anche a bar, ristoranti, hotel: la stagione estiva al lago di Garda come sarà? Chi aprirà e chi no? Come cambierà la ristorazione?". Anche la Gdo, per quanto ci sia chi la vede come canale "salvezza" in un periodo in cui la gente al massimo va al supermercato, non sembra offrire grandi soluzioni: "Noi siamo presenti in un unico ipermercato a Verona che ha sviluppato un progetto di prodotti locali a cui abbiamo aderito un anno e mezzo fa - riferisce -, ma i numeri sono molto limitati e dall’inizio della quarantena non abbiamo ricevuto ordini".Alla Gdo riserva qualche osservazione anche Severino Garlatti Costa, birraio nel birrificio omonimo, nonché presidente dell'Associazione Artigiani Birrai Fvg: "In Italia la presenza della birra artigianale nella Gdo è molto meno diffusa che in Usa - osserva - e in questo momento, in cui la distribuzione avviene quasi esclusivamente attraverso questo canale, la cosa rappresenta un grosso problema. Per contro in Italia ci sono molte aziende a conduzione familiare, o con pochi dipendenti, che riescono a contenere i costi fissi e quindi a resistere più a lungo di aziende più strutturate". Una situazione che, ammette comunque Severino, "mi sta insegnando molte cose: per esempio a rivalutare la consegna diretta ai privati (che da sola non è sufficiente a farci vivere ma è comunque uno strumento valido anche per fare marketing), o la vendita ai supermercati di zona (quelli che trattano i prodotti del territorio e li valorizzano posizionandoli su scaffalature separate)". Anche per Garlatti Costa comunque le preoccupazioni risiedono più nelle insidie della ripartenza che nei cali di fatturato già patiti: "I primi mesi dell’anno sono sempre i più “tranquilli” - osserva - per cui la differenza non è così drammatica. Il calo più importante si vedrà da ora in poi: da qui a ottobre si sarebbero dovuti tenere gli eventi più importanti, che sono saltati; e anche per pub e tap room i tempi e modi della ripresa sono ancora incerti". Tirando le somme, Severino afferma che "non so quanto potremo resistere… il solo delivery non può bastare! Dipende anche da quali saranno gli aiuti dello Stato, ma non ci spero molto dato che sono tantissime le aziende di diversi comparti ad avere gli stessi problemi".Sulla ripartenza si sta concentrando il birrificio Jeb di Trivero (Biella), che sta ora lavorando con consegne a domicilio dopo un mese e mezzo di stop della produzione: "Abbiamo molte idee - riferisce la birraia, Chiara Baù - ma si dovrà vedere quali strascichi lascerà questa situazione e la reazione del nostro pubblico. Abbiamo la fortuna di avere il brewpub in zona montana, a 1000 metri, nell'alto biellese; e di avere molto spazio all'aperto e all'esterno in un comodo ed aerato dehors. Qualsiasi cosa accada ci renderemo pronti ad accogliere i nostri supporter...#supportyourlocalbrewery!" conclude a mo' di hashtag, ammettendo comunque che on saprebbe dire per quanto tempo i birrifici possono resistere alla serrata. Infine, uno sguardo alla realtà dei beerfirm - o meglio, di un "quasi" birrificio, dato che stiamo parlando di Birra Galassia: che, come chi mi e li segue sa, ha l'impianto pronto da tempo ma non ancora attivo per questioni burocratiche su cui non mi soffermo (anche se Tommaso, uno dei birrai, ammette che è "quasi un sollievo" il fatto di non aver ancora l'impianto attivo in questi frangenti). Le consegne a domicilio "stanno avendo un buon riscontro, e sono sicuramente un canale di vendita che terremo anche successivamente. Stiamo inoltre lavorando a uno shop online". Non grandi cose, osserva, ma quel che basta a svuotare il magazzino e coprire le spese correnti. Certo, osserva sempre Tommaso, "per chi ha impianti avviati e aveva iniziato a caricare i fermentatori in vista dell'estate la situazione è più difficile; e credo che colpirà in modo più pesante quei birrifici che oggi sono tra i più strutturati in regione, ma che non sono realtà consolidate a livello nazionale". Se anche Tommaso condivide le preoccupazioni degli altri birrai per quanto riguarda le riaperture, mostra invece un briciolo di maggior ottimismo per "quelle micro realtà che lavorano sul mercato locale. Uno dei risvolti di questa pandemia sarà un incremento importante della richiesta di prodotti locali, di qualità, con una filiera distributiva corta, distribuiti magari nei negozi di vicinato: e penso che questo possa dare un contributo al migliorare la consapevolezza dei consumatori". Tutte realtà che nel complesso saranno meno penalizzate anche perché già prima curavano direttamente la distribuzione; anche se, osserva, "non si potrà prescindere dal trovare nuove modalità di vendita, nuovi sbocchi di mercato, e da una revisione generale delle politiche commerciali e di prezzo. Non sono in grado di dire in quale direzione, ma lo sbilanciamento dei consumi verso il domestico, la crescita del delivery anche per la somministrazione, la possibilità di trovare il prodotto in più realtà locali dello stesso territorio, la vendita diretta a distanza... richiedono di riponderare le politiche prezzo con grande attenzione per evitare di creare dissidi interni alla rete e confusione".In generale quindi pare che, almeno per qualche mese, si possa resistere; ma che la vera insidia, ancor più che la serrata, sia la ripresa.

Coronavirus e prospettive future

È notizia di qualche giorno fa che, secondo un sondaggio condotto dalla americana Brewers Association, praticamente la metà dei birrifici artigianali americani afferma di poter resistere non più di tre mesi in una situazione di serrata come quella imposta per la pandemia; e poco più del 10% addirittura non più di un mese. Mi sono quindi chiesta che cosa ne pensassero in merito i birrai italiani: quanto ritengono che il proprio birrificio, o il comparto nel suo insieme, potrebbe resistere in questo regime di restrizioni? Come le stanno affrontando? Che prospettive vedono per la ripartenza? Ho quindi fatto circolare una mail tra i miei contatti birrari, per raccogliere alcune opinioni (senza avere valore di sondaggio, ma che possono comunque servire a capire gli umori). Ringrazio da subito tutti coloro che mi hanno risposto, anche perché lo hanno sempre fatto in maniera articolata, senza limitarsi a frasi di circostanza.Innanzitutto, va rilevato che quasi tutti coloro che hanno dipendenti hanno riferito di averne posto almeno alcuni in cassa integrazione; nonché di aver usufruito di misure previste per legge come sospensione dei mutui, o altre concordate con singoli clienti e fornitori per la dilazione di alcune scadenze. Così come più o meno tutti sono posti in difficoltà dal fatto che utenze, accise e altre voci di spesa non sono viceversa state bloccate. La liquidità quindi è, come sempre detto, uno dei primi problemi a porsi.C'è poi la questione magazzino: come fa notare un birraio che preferisce rimanere anonimo,"soprattutto chi lavora con tipologie di birra che vanno bevute giovani, dopo tre mesi rischia di buttarle. Meno male che noi abbiamo soprattutto stili che invece guadagnano dall'invecchiamento; e che abbiamo poca birra in magazzino, che stiamo vendendo a domicilio". Una situazione in cui, afferma, "possiamo resistere, ma non oltre i sei mesi. Senza contare che anche ripartire sarà dura: si lavorerà a ranghi ridotti e ci vorrà tempo sia per ricevere i crediti che per pagare i debiti. Il 2020 ormai è segnato: credo che che ci saranno cali di fatturato almeno del 60% sull'anno".Anche il birrificio Benaco 70, sul lago di Garda, sta lavorando con le consegne a domicilio; con le quali ritiene di poter resistere, a detta di Erica, "qualche mese credo, ma faccio fatica a quantificare". Le preoccupazioni si concentrano piuttosto sulla ripartenza, soprattutto per una realtà che conta molto sul proprio brewpub e sulle presenze turistiche: "Il pub è un luogo di aggregazione per antonomasia, come faremo a rispettare i 2 metri di distanza? - si chiede Erica -. Niente musica dal vivo? Niente eventi? E poi vendiamo anche a bar, ristoranti, hotel: la stagione estiva al lago di Garda come sarà? Chi aprirà e chi no? Come cambierà la ristorazione?". Anche la Gdo, per quanto ci sia chi la vede come canale "salvezza" in un periodo in cui la gente al massimo va al supermercato, non sembra offrire grandi soluzioni: "Noi siamo presenti in un unico ipermercato a Verona che ha sviluppato un progetto di prodotti locali a cui abbiamo aderito un anno e mezzo fa - riferisce -, ma i numeri sono molto limitati e dall’inizio della quarantena non abbiamo ricevuto ordini".Alla Gdo riserva qualche osservazione anche Severino Garlatti Costa, birraio nel birrificio omonimo, nonché presidente dell'Associazione Artigiani Birrai Fvg: "In Italia la presenza della birra artigianale nella Gdo è molto meno diffusa che in Usa - osserva - e in questo momento, in cui la distribuzione avviene quasi esclusivamente attraverso questo canale, la cosa rappresenta un grosso problema. Per contro in Italia ci sono molte aziende a conduzione familiare, o con pochi dipendenti, che riescono a contenere i costi fissi e quindi a resistere più a lungo di aziende più strutturate". Una situazione che, ammette comunque Severino, "mi sta insegnando molte cose: per esempio a rivalutare la consegna diretta ai privati (che da sola non è sufficiente a farci vivere ma è comunque uno strumento valido anche per fare marketing), o la vendita ai supermercati di zona (quelli che trattano i prodotti del territorio e li valorizzano posizionandoli su scaffalature separate)". Anche per Garlatti Costa comunque le preoccupazioni risiedono più nelle insidie della ripartenza che nei cali di fatturato già patiti: "I primi mesi dell’anno sono sempre i più “tranquilli” - osserva - per cui la differenza non è così drammatica. Il calo più importante si vedrà da ora in poi: da qui a ottobre si sarebbero dovuti tenere gli eventi più importanti, che sono saltati; e anche per pub e tap room i tempi e modi della ripresa sono ancora incerti". Tirando le somme, Severino afferma che "non so quanto potremo resistere… il solo delivery non può bastare! Dipende anche da quali saranno gli aiuti dello Stato, ma non ci spero molto dato che sono tantissime le aziende di diversi comparti ad avere gli stessi problemi".Sulla ripartenza si sta concentrando il birrificio Jeb di Trivero (Biella), che sta ora lavorando con consegne a domicilio dopo un mese e mezzo di stop della produzione: "Abbiamo molte idee - riferisce la birraia, Chiara Baù - ma si dovrà vedere quali strascichi lascerà questa situazione e la reazione del nostro pubblico. Abbiamo la fortuna di avere il brewpub in zona montana, a 1000 metri, nell'alto biellese; e di avere molto spazio all'aperto e all'esterno in un comodo ed aerato dehors. Qualsiasi cosa accada ci renderemo pronti ad accogliere i nostri supporter...#supportyourlocalbrewery!" conclude a mo' di hashtag, ammettendo comunque che on saprebbe dire per quanto tempo i birrifici possono resistere alla serrata. Infine, uno sguardo alla realtà dei beerfirm - o meglio, di un "quasi" birrificio, dato che stiamo parlando di Birra Galassia: che, come chi mi e li segue sa, ha l'impianto pronto da tempo ma non ancora attivo per questioni burocratiche su cui non mi soffermo (anche se Tommaso, uno dei birrai, ammette che è "quasi un sollievo" il fatto di non aver ancora l'impianto attivo in questi frangenti). Le consegne a domicilio "stanno avendo un buon riscontro, e sono sicuramente un canale di vendita che terremo anche successivamente. Stiamo inoltre lavorando a uno shop online". Non grandi cose, osserva, ma quel che basta a svuotare il magazzino e coprire le spese correnti. Certo, osserva sempre Tommaso, "per chi ha impianti avviati e aveva iniziato a caricare i fermentatori in vista dell'estate la situazione è più difficile; e credo che colpirà in modo più pesante quei birrifici che oggi sono tra i più strutturati in regione, ma che non sono realtà consolidate a livello nazionale". Se anche Tommaso condivide le preoccupazioni degli altri birrai per quanto riguarda le riaperture, mostra invece un briciolo di maggior ottimismo per "quelle micro realtà che lavorano sul mercato locale. Uno dei risvolti di questa pandemia sarà un incremento importante della richiesta di prodotti locali, di qualità, con una filiera distributiva corta, distribuiti magari nei negozi di vicinato: e penso che questo possa dare un contributo al migliorare la consapevolezza dei consumatori". Tutte realtà che nel complesso saranno meno penalizzate anche perché già prima curavano direttamente la distribuzione; anche se, osserva, "non si potrà prescindere dal trovare nuove modalità di vendita, nuovi sbocchi di mercato, e da una revisione generale delle politiche commerciali e di prezzo. Non sono in grado di dire in quale direzione, ma lo sbilanciamento dei consumi verso il domestico, la crescita del delivery anche per la somministrazione, la possibilità di trovare il prodotto in più realtà locali dello stesso territorio, la vendita diretta a distanza... richiedono di riponderare le politiche prezzo con grande attenzione per evitare di creare dissidi interni alla rete e confusione".Il tema del radicamento sul territorio pare confermato già ora da quanto afferma Matteo del Birrificio Curtense, nel bresciano (e quindi una delle zone più colpite): "Fortunatamente noi siamo molto forti nel territorio e vendiamo molto nei piccoli negozi ed ai privati, questo ci permettere di stare a galla, nonostante una perdita di fatturato di almeno il 50%. Al momento stiamo cercando di lavorare in modo diverso, vendendo molto di più con il porta a porta ed aggiungendo anche altri prodotti non di nostra produzione. Sicuramente, almeno nel breve periodo, non avremo problemi".In generale quindi pare che, almeno per qualche mese, si possa resistere; ma che la vera insidia, ancor più che la serrata, sia la ripresa.